Candida rosa nata in dure spine,
quando fia chi sua pari al mondo trove,
gloria di nostra etate? O vivo Giove,
manda, prego, il mio in prima che 'l suo fine:
si ch'io non veggia il gran publico danno,
e 'l mondo remaner senza 'l suo sole,
ne li occhi miei, che luce altra non anno;
ne l'alma, che pensar d'altro non vole,
ne l'orecchie, ch'udir altro non sanno,
senza l'oneste sue dolci parole.

    247



Parra forse ad alcun che 'n lodar quella
ch'i' adoro in terra, errante sia 'l mio stile,
faccendo lei sovr'ogni altra gentile,
santa, saggia, leggiadra, honesta et bella.
A me par il contrario; et temo ch'ella
non abbia a schifo il mio dir troppo humile,
degna d'assai piu alto et piu sottile:
et chi nol crede, venga egli a vedella;
si dira ben: Quello ove questi aspira
e cosa da stancare Athene, Arpino,
Mantova et Smirna, et l'una et l'altra lira.
Lingua mortale al suo stato divino
giunger non pote: Amor la spinge et tira,
non per election, ma per destino.

    248



Chi vuol veder quantunque po Natura
e 'l Ciel tra noi, venga a mirar costei,
ch'e sola un sol, non pur a li occhi mei,
ma al mondo cieco, che vertu non cura;
et venga tosto, perche Morte fura
prima i migliori, et lascia star i rei:
questa aspettata al regno delli dei
cosa bella mortal passa, et non dura.
Vedra, s'arriva a tempo, ogni vertute,
ogni bellezza, ogni real costume
giunti in un corpo con mirabil' tempre:
allor dira che mie rime son mute,
l'ingegno offeso dal soverchio lume;
ma se piu tarda, avra da pianger sempre.

    249



Qual paura o, quando mi torna a mente
quel giorno ch'i' lasciai grave et pensosa
madonna, e 'l mio cor seco! et non e cosa
che si volentier pensi, et si sovente.
I' la riveggio starsi humilemente
tra belle donne, a guisa d'una rosa
tra minor' fior', ne lieta ne dogliosa,
come chi teme, et altro mal non sente.
Deposta avea l'usata leggiadria,
le perle et le ghirlande et i panni allegri,
e 'l riso e 'l canto e 'l parlar dolce humano.
Cosi in dubbio lasciai la vita mia:
or tristi auguri, et sogni et penser' negri
mi danno assalto, et piaccia a Dio che 'nvano.

    250



Solea lontana in sonno consolarme
con quella dolce angelica sua vista
madonna; or mi spaventa et mi contrista,
ne di duol ne di tema posso aitarme;
che spesso nel suo volto veder parme
vera pieta con grave dolor mista,
et udir cose onde 'l cor fede acquista
che di gioia et di speme si disarme.
" Non ti soven di quella ultima sera
dice ella " ch'i' lasciai li occhi tuoi molli
et sforzata dal tempo me n'andai?
I' non tel potei dir, allor, ne volli;
or tel dico per cosa experta et vera:
non sperar di vedermi in terra mai ".

    251



O misera et horribil visione!
E dunque ver che 'nnanzi tempo spenta
sia l'alma luce che suol far contenta
mia vita in pene et in speranze bone?
Ma come e che si gran romor non sone,
per altri messi, et per lei stessa il senta?
Or gia Dio et Natura nol consenta,
et falsa sia mia trista opinione.
A me pur giova di sperare anchora
la dolce vista del bel viso adorno,
che me mantene, e 'l secol nostro honora.
Se per salir a l'eterno soggiorno
uscita e pur del bel' albergo fora,
prego non tardi il mio ultimo giorno.

    252



In dubbio di mio stato, or piango or canto,
et temo et spero; et in sospiri e 'n rime
sfogo il mio incarco: Amor tutte sue lime
usa sopra 'l mio core, afflicto tanto.
Or fia gia mai che quel bel viso santo
renda a quest'occhi le lor luci prime
(lasso, non so che di me stesso estime)?
o li condanni a sempiterno pianto;
et per prender il ciel, debito a lui,
non curi che si sia di loro in terra,
di ch'egli e il sole, et non veggiono altrui?
In tal paura e 'n si perpetua guerra
vivo ch'i' non so piu quel che gia fui,
qual chi per via dubbiosa teme et erra.

    253



O dolci sguardi, o parolette accorte,
or fia mai il di ch'i' vi riveggia et oda?
O chiome bionde di che 'l cor m'annoda
Amor, et cosi preso il mena a morte;
o bel viso a me dato in dura sorte,
di ch'io sempre pur pianga, et mai non goda:
o chiuso inganno et amorosa froda,
darmi un piacer che sol pena m'apporte!
Et se talor da' belli occhi soavi,
ove mia vita e 'l mio pensero alberga,
forse mi ven qualche dolcezza honesta,
subito, a cio ch'ogni mio ben disperga
et m'allontane, or fa cavalli or navi
Fortuna, ch'al mio mal sempre e si presta.

    254



I'pur ascolto, et non odo novella
de la dolce et amata mia nemica,
ne so ch'i' me ne pensi o ch'i' mi dica,
si 'l cor tema et speranza mi puntella.
Nocque ad alcuna gia l'esser si bella;
questa piu d'altra e bella et piu pudica:
forse vuol Dio tal di vertute amica
torre a la terra, e 'n ciel farne una stella;
anzi un sole: et se questo e, la mia vita,
i miei corti riposi e i lunghi affanni
son giunti al fine. O dura dipartita,
perche lontan m'ai fatto da' miei danni?
La mia favola breve e gia compita,
et fornito il mio tempo a mezzo gli anni.

    255



La sera desiare, odiar l'aurora
soglion questi tranquilli et lieti amanti;
a me doppia la sera et doglia et pianti,
la matina e per me piu felice hora:
che spesso in un momento apron allora
l'un sole et l'altro quasi duo levanti,
di beltade et di lume si sembianti,
ch'anco il ciel de la terra s'innamora;
come gia fece, allor che' primi rami
verdeggiar, che nel cor radice m'anno,
per cui sempre altrui piu che me stesso ami.
Cosi di me due contrarie hore fanno;
et chi m'acqueta e ben ragion ch'i' brami,
et tema et odi chi m'adduce affanno.

    256



Far potess'io vendetta di colei
che guardando et parlando mi distrugge,
et per piu doglia poi s'asconde et fugge,
celando gli occhi a me si dolci et rei.
Cosi li afflicti et stanchi spirti mei
a poco a poco consumando sugge,
e 'n sul cor quasi fiero leon rugge
la notte allor quand'io posar devrei.
L'alma, cui Morte del suo albergo caccia,
da me si parte, et di tal nodo sciolta,
vassene pur a lei che la minaccia.
Meravigliomi ben s'alcuna volta,
mentre le parla et piange et poi l'abbraccia,
non rompe il sonno suo, s'ella l'ascolta.

    257



In quel bel viso ch'i' sospiro et bramo,
fermi eran gli occhi desiosi e 'ntensi,
quando Amor porse, quasi a dir " che pensi? ",
quella honorata man che second'amo.
Il cor, preso ivi come pesce a l'amo,
onde a ben far per vivo exempio viensi,
al ver non volse li occupati sensi,
o come novo augello al visco in ramo.
Ma la vista, privata del suo obiecto,
quasi sognando si facea far via,
senza la qual e 'l suo bene imperfecto.
l'alma tra l'una et l'altra gloria mia,
qual celeste non so novo dilecto
et qual strania dolcezza si sentia.

    258



Vive faville uscian de' duo bei lumi
ver' me si dolcemente folgorando,
et parte d'un cor saggio sospirando
d'alta eloquentia si soavi fiumi,
che pur il rimembrar par mi consumi
qualor a quel di torno, ripensando
come venieno i miei spirti mancando
al variar de' suoi duri costumi.
L'alma, nudrita sempre in doglia e 'n pene
( quanto e 'l poder d'una prescritta usanza!),
contra 'l doppio piacer si 'nferma fue,
ch'al gusto sol del disusato bene,
tremando or di paura or di speranza,
d'abandonarme fu spesso entra due.

    259



Cercato o sempre solitaria vita
(le rive il sanno, et le campagne e i boschi)
per fuggir questi ingegni sordi et loschi,
che la strada del cielo anno smarrita;
et se mia voglia in cio fusse compita,
fuor del dolce aere de' paesi toschi
anchor m'avria tra' suoi bei colli foschi
Sorga, ch'a pianger et cantar m'aita.
Ma mia fortuna, a me sempre nemica,
mi risospigne al loco ov'io mi sdegno
veder nel fango il bel tesoro mio.
A la man ond'io scrivo e fatta amica
a questa volta, et non e forse indegno:
Amor sel vide, et sa 'l madonna et io.

    260



In tale stella duo belli occhi vidi,
tutti pien' d'onestate et di dolcezza,
che presso a quei d'Amor leggiadri nidi
il mio cor lasso ogni altra vista sprezza.
Non si pareggi a lei qual piu s'aprezza,
in qual ch'etade, in quai che strani lidi:
non chi reco con sua vaga bellezza
in Grecia affanni, in Troia ultimi stridi;
no la bella romana che col ferro
apre il suo casto et disdegnoso petto;
non Polixena, Ysiphile et Argia.
Questa excellentia e gloria, s'i' non erro,
grande a Natura, a me sommo diletto,
ma' che ven tardo, et subito va via.

    261



Qual donna attende a gloriosa fama
di senno, di valor, di cortesia,
miri fiso negli occhi a quella mia
nemica, che mia donna il mondo chiama.
Come s'acquista honor, come Dio s'ama,
come e giunta honesta con leggiadria,
ivi s'impara, et qual e dritta via
di gir al ciel, che lei aspetta et brama.
Ivi 'l parlar che nullo stile aguaglia,
e 'l bel tacere, et quei cari costumi,
che 'ngegno human non po spiegar in carte;
l'infinita belleza ch'altrui abbaglia,
non vi s'impara: che quei dolci lumi
s'acquistan per ventura et non per arte.

    262



Cara la vita, et dopo lei mi pare
vera honesta, che 'n bella donna sia.
L'ordine volgi: e' non fur, madre mia,
senza honesta mai cose belle o care;
et qual donna si lascia di suo honor privare,
ne donna e piu ne viva; et se qual pria
appare in vista, e tal vita aspra et ria
via piu che morte, et di piu pene amare.
Ne di Lucretia mi meravigliai,
se non come a morir le bisognasse
ferro, et non le bastasse il dolor solo.
Vengan quanti philosophi fur mai,
a dir di cio: tutte lor vie fien basse;
et quest'una vedremo alzarsi a volo.

    263



Arbor victoriosa trumphale,
onor d'imperadori et di poeti,
quanti m'ai fatto di dogliosi et lieti
in questa breve mia vita mortale!
vera donna, et a cui di nulla cale,
se non d'onor, che sovr'ogni altra mieti,
ne d'Amor visco temi, o lacci o reti,
ne 'ngano altrui contr'al tuo senno vale.
Gentileza di sangue, et l'altre care
cose tra noi, perle et robini et oro,
quasi vil soma egualmente dispregi.
L'alta belta ch'al mondo non a pare
noia t'e, se non quanto il bel thesoro
di castita par ch'ella adorni et fregi.

    264



I' vo pensando, et nel penser m'assale
una pieta si forte di me stesso,
che mi conduce spesso
ad altro lagrimar ch'i' non soleva:
che, vedendo ogni giorno il fin piu presso,
mille fiate o chieste a Dio quell'ale
co le quai del mortale
carcer nostro intelletto al ciel si leva.
Ma infin a qui niente mi releva
prego o sospiro o lagrimar ch'io faccia:
e cosi per ragion conven che sia,
che chi, possendo star, cadde tra via,
degno e che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia
in ch'io mi fido, veggio aperte anchora,
ma temenza m'accora
per gli altrui exempli, et del mio stato tremo,
ch'altri mi sprona, et son forse a l'extremo.
L'un penser parla co la mente, et dice:
" Che pur agogni? onde soccorso attendi?
Misera, non intendi
con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi;
e del cor tuo divelli ogni radice
del piacer che felice
nol po mai fare, et respirar nol lassa.
Se gia e gran tempo fastidita et lassa
se' di quel falso dolce fugitivo
che 'l mondo traditor puo dare altrui,
a che ripon' piu la speranza in lui,
che d'ogni pace et di fermezza e privo?
Mentre che 'l corpo e vivo,
ai tu 'l freno in bailia de' penser' tuoi:
deh stringilo or che poi,
che dubbioso e 'l tardar come tu sai,
e 'l cominciar non fia per tempo omai.
Gia sai tu ben quanta dolcezza porse
agli occhi tuoi la vista di colei
la qual ancho vorrei
ch'a nascer fosse per piu nostra pace.
Ben ti ricordi, et ricordar te 'n dei,
de l'imagine sua quand'ella corse
al cor, la dove forse
non potea fiammma intrar per altrui face:
ella l'accese; et se l'ardor fallace
duro molt'anni in aspectando un giorno,
che per nostra salute unqua non vene,
or ti solleva a piu beata spene,
mirando 'l ciel che ti si volve intorno,
immortal et addorno:
che dove, del mal suo qua giu si lieta,
vostra vaghezza acqueta
un mover d'occhi, un ragionar, un canto,
quanto fia quel piacer, se questo e tanto? "
Da l'altra parte un pensier dolce et agro,
con faticosa et dilectevol salma
sedendosi entro l'alma,
preme 'l cor di desio, di speme il pasce;
che sol per fama gloriosa et alma
non sente quand'io agghiaccio, o quand'io flagro,
s'i' son pallido o magro;
et s'io l'occido piu forte rinasce.
Questo d'allor ch'i' m'addormiva in fasce
venuto e di di in di crescendo meco,
e temo ch'un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l'alma de le membra ignuda,
non po questo desio piu venir seco;
ma se 'l latino e 'l greco
parlan di me dopo la morte, e un vento:
ond'io, perche pavento
adunar sempre quel ch'un'ora sgombre,
vorre' 'l ver abbracciar, lassando l'ombre.
Ma quell'altro voler di ch'i'son pieno,
quanti press'a lui nascon par ch'adugge;
e parte il tempo fugge
che, scrivendo d'altrui, di me non calme;
e 'l lume de' begli occhi che mi strugge
soavemente al suo caldo sereno,
mi ritien con un freno
contra chui nullo ingegno o forza valme.
Che giova dunque perche tutta spalme
la mia barchetta, poi che 'nfra li scogli
e ritenuta anchor da ta' duo nodi?
Tu che dagli altri, che 'n diversi modi
legano 'l mondo, in tutto mi disciogli,
Signor mio, che non togli
omai dal volto mio questa vergogna?
Che 'n guisa d'uom che sogna,
aver la morte inanzi gli occhi parme;
et vorrei far difesa, et non o l'arme.
Quel ch'i' fo veggio, et non m'inganna il vero
mal conosciuto, anzi mi sforza Amore,
che la strada d'onore
mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;
et sento ad ora ad or venirmi al core
un leggiadro disegno aspro et severo
ch'ogni occulto pensero
tira in mezzo la fronte, ov'altri 'l vede:
che mortal cosa amar con tanta fede
quanta a Dio sol per debito convensi,
piu si disdice a chi piu pregio brama.
Et questo ad alta voce ancho richiama
la ragione sviata dietro ai sensi;
ma perch'ell'oda, et pensi
tornare, il mal costume oltre la spigne,
et agli occhi depigne
quella che sol per farmi morir nacque,
perch'a me troppo, et a se stessa, piacque.
Ne so che spatio mi si desse il cielo
quando novellamente io venni in terra
a soffrir l'aspra guerra
che 'ncontra me medesmo seppi ordire;
ne posso il giorno che la vita serra
antiveder per lo corporeo velo;
ma variarsi il pelo
veggio, et dentro cangiarsi ogni desire.
Or ch'i' mi credo al tempo del partire
esser vicino, o non molto da lunge,
come chi 'l perder face accorto et saggio,
vo ripensando ov'io lassai 'l viaggio
de la man destra, ch'a buon porto aggiunge:
et da l'un lato punge
vergogna et duol che 'ndietro mi rivolve;
dall'altro non m'assolve
un piacer per usanza in me si forte
ch'a patteggiar n'ardisce co la morte.
Canzon, qui sono, ed o 'l cor via piu freddo
de la paura che gelata neve,
sentendomi perir senz'alcun dubbio:
che pur deliberando o volto al subbio
gran parte omai de la mia tela breve;
ne mai peso fu greve
quanto quel ch'i' sostengo in tale stato:
che co la morte a lato
cerco del viver mio novo consiglio,
et veggio 'l meglio, et al peggior m'appiglio.

    265



Aspro core et selvaggio, et cruda voglia
in dolce, humile, angelica figura,
se l'impreso rigor gran tempo dura,
avran di me poco honorata spoglia;
che quando nasce et mor fior, herba et foglia,
quando e 'l di chiaro, et quando e notte oscura,
piango ad ognor: ben o di mia ventura,
di madonna et d'Amore onde mi doglia.
Vivo sol di speranza, rimembrando
che poco humor gia per continua prova
consumar vidi marmi et pietre salde.
Non e si duro cor che, lagrimando,
pregando, amando, talor non si smova,
ne si freddo voler, che non si scalde.

    266



Signor mio caro, ogni pensier mi tira
devoto a veder voi, cui sempre veggio:
la mia fortuna (or che mi po far peggio?)
mi tene a freno, et mi travolge et gira.
Poi quel dolce desio ch'Amor mi spira
menami a morte, ch'i' non me n'aveggio;
et mentre i miei duo lumi indarno cheggio,
dovunque io son, di et notte si sospira.
Carita di signore, amor di donna
son le catene ove con molti affanni
legato son, perch'io stesso mi strinsi.
Un lauro verde, una gentil colomna,
quindeci l'una, et l'altro diciotto anni
portato o in seno, et gia mai non mi scinsi.

    267



Oime il bel viso, oime il soave sguardo,
oime il leggiadro portamento altero;
oime il parlar ch'ogni aspro ingegno et fero
facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo!
et oime il dolce riso, onde uscio 'l dardo
di che morte, altro bene omai non spero:
alma real, dignissima d'impero,
se non fossi fra noi scesa si tardo!
Per voi conven ch'io arda, e 'n voi respire,
ch'i' pur fui vostro; et se di voi son privo,
via men d'ogni sventura altra mi dole.
Di speranza m'empieste et di desire,
quand'io parti' dal sommo piacer vivo;
ma 'l vento ne portava le parole.

    268



Che debb'io far? che mi consigli, Amore?
Tempo e ben di morire,
et o tardato piu ch'i' non vorrei.
Madonna e morta, et a seco il mio core;
et volendol seguire,
interromper conven quest'anni rei,
perche mai veder lei
di qua non spero, et l'aspettar m'e noia.
Poscia ch'ogni mia gioia
per lo suo dipartire in pianto e volta,
ogni dolcezza de mia vita e tolta.
Amor, tu 'l senti, ond'io teco mi doglio,
quant'e il damno aspro et grave;
e so che del mio mal ti pesa et dole,
anzi del nostro, perch'ad uno scoglio
avem rotto la nave,
et in un punto n'e scurato il sole.
Qual ingegno a parole
poria aguagliare il mio doglioso stato?
Ahi orbo mondo, ingrato,
gran cagion ai di dever pianger meco,
che quel bel ch'era in te, perduto ai seco.
Caduta e la tua gloria, et tu nol vedi,
ne degno eri, mentr'ella
visse qua giu, d'aver sua conoscenza,
ne d'esser tocco da' suoi sancti piedi,
perche cosa si bella
devea 'l ciel adornar di sua presenza.
Ma io, lasso, che senza
lei ne vita mortal ne me stesso amo,
piangendo la richiamo:
questo m'avanza di cotanta spene,
et questo solo anchor qui mi mantene.
Oime, terra e fatto il suo bel viso,
che solea far del cielo
et del ben di lassu fede fra noi;
l'invisibil sua forma e in paradiso,
disciolta di quel velo
che qui fece ombra al fior degli anni suoi,
per rivestirsen poi
un'altra volta, et mai piu non spogliarsi,
quando alma et bella farsi
tanto piu la vedrem, quanto piu vale
sempiterna bellezza che mortale.
Piu che mai bella et piu leggiadra donna
tornami inanzi, come
la dove piu gradir sua vista sente.
Questa e del viver mio l'una colomna,
l'altra e 'l suo chiaro nome,
che sona nel mio cor si dolcemente.
Ma tornandomi a mente
che pur morta e la mia speranza, viva
allor ch'ella fioriva,
sa ben Amor qual io divento, et (spero)
vedel colei ch'e or si presso al vero.
Donne, voi che miraste sua beltate
et l'angelica vita
con quel celeste portamento in terra,
di me vi doglia, et vincavi pietate,
non di lei ch'e salita
a tanta pace, et m'a lassato in guerra:
tal che s'altri mi serra
lungo tempo il camin da seguitarla,
quel ch'Amor meco parla,
sol mi ritien ch'io non recida il nodo.
Ma e' ragiona dentro in cotal modo:
" Pon' freno al gran dolor che ti trasporta,
che per soverchie voglie
si perde 'l cielo, ove 'l tuo core aspira,
dove e viva colei ch'altrui par morta,
et di sue belle spoglie
seco sorride, et sol di te sospira;
et sua fama, che spira
in molte parti anchor per la tua lingua,
prega che non extingua,
anzi la voce al suo nome rischiari,
se gli occhi suoi ti fur dolci ne cari. "
Fuggi 'l sereno e 'l verde,
non t'appressare ove sia riso o canto,
canzon mia no, ma pianto:
non fa per te di star fra gente allegra,
vedova, sconsolata, in vesta negra.

    269



Rotta e l'alta colonna e 'l verde lauro
che facean ombra al mio stanco pensero;
perduto o quel che ritrovar non spero
dal borrea a l'austro, o dal mar indo al mauro.
Tolto m'ai, Morte, il mio doppio thesauro,
che mi fea viver lieto et gire altero,
et ristorar nol po terra ne impero,
ne gemma oriental, ne forza d'auro.
Ma se consentimento e di destino,
che posso io piu, se no aver l'alma trista,
humidi gli occhi sempre, e 'l viso chino?
O nostra vita ch'e si bella in vista,
com perde agevolmente in un matino
quel che 'n molti anni a gran pena s'acquista!

    270



Amor, se vuo' ch'i'torni al giogo anticho,
come par che tu mostri, un'altra prova
meravigliosa et nova,
per domar me, conventi vincer pria.
Il mio amato tesoro in terra trova,
che m'e nascosto, ond'io son si mendico,
e 'l cor saggio pudico,
ove suol albergar la vita mia;
et s'egli e ver che tua potentia sia
nel ciel si grande come si ragiona,
et ne l'abisso (perche qui fra noi
quel che tu val' et puoi,
credo che 'l sente ogni gentil persona),
ritogli a Morte quel ch'ella n'a tolto,
et ripon' le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro 'l bel viso il vivo lume
ch'era mia scorta, et la soave fiamma
ch'anchor, lasso, m'infiamma
essendo spenta: or che fea dunque ardendo?
E' non si vide mai cervo ne damma
con tal desio cercar fonte ne fiume,
qual io il dolce costume
onde o gia molto amaro; et piu n'attendo,
se ben me stesso et mia vaghezza intendo,
che mi fa vaneggiar sol del pensero,
et gire in parte ove la strada manca,
et co la mente stanca
cosa seguir che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno,
che segnoria non ai fuor del tuo regno.
Fammi sentir de quell'aura gentile
di for, si come dentro anchor si sente;
la qual era possente,
cantando, d'acquetar li sdegni et l'ire,
di serenar la tempestosa mente
et sgombrar d'ogni nebbia oscura et vile,
ed alzava il mio stile
sovra di se, dove or non poria gire.
Aguaglia la speranza col desire;
et poi che l'alma e in sua ragion piu forte,
rendi agli occhi, agli orecchi il proprio obgetto,
senza qual imperfetto
e lor oprare, e 'l mio vivere e morte.
Indarno or sovra me tua forza adopre,
mentre 'l mio primo amor terra ricopre.
Fa ch'io riveggia il bel guardo, ch'un sole
fu sopra 'l ghiaccio ond'io solea gir carco;
fa' ch'i' ti trovi al varco,
onde senza tornar passo 'l mio core;
prendi i dorati strali, et prendi l'arco,
et facciamisi udir, si come sole,
col suon de le parole
ne le quali io imparai che cosa e amore;
movi la lingua, ov'erano a tutt'ore
disposti gli ami ov'io fui preso, et l'esca
ch'i' bramo sempre; e i tuoi lacci nascondi
fra i capei crespi et biondi,
che il mio voler altrove non s'invesca;
spargi co le tue man' le chiome al vento,
ivi mi lega, et puo' mi far contento.
Dal laccio d'or non sia mai chi me scioglia,
negletto ad arte, e 'nnanellato et hirto,
ne de l'ardente spirto
de la sua vista dolcemente acerba,
la qual di et notte piu che lauro o mirto
tenea in me verde l'amorosa voglia,
quando si veste et spoglia
di fronde il bosco, et la campagna d'erba.
Ma poi che Morte e stata si superba
che spezzo il nodo ond'io temea scampare,
ne trovar poi, quantunque gira il mondo,
di che ordischi 'l secondo,
che giova, Amor, tuoi ingegni ritentare?
Passata e la stagion, perduto ai l'arme,
di ch'io tremava: ormai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhi, onde l'accese
saette uscivan d'invisibil foco,
et ragion temean poco,
che 'ncontra 'l ciel non val difesa humana;
il pensar e 'l tacer, il riso e 'l gioco,
l'abito honesto e 'l ragionar cortese,
le parole che 'ntese
avrian fatto gentil d'alma villana,
l'angelica sembianza, humile et piana,
ch'or quinci or quindi udia tanto lodarsi;
e 'l sedere et lo star, che spesso altrui
poser in dubbio a cui
devesse il pregio di piu laude darsi.
Con quest'arme vincevi ogni cor duro:
or se' tu disarmato; i' son securo.
Gli animi ch'al tuo regno il cielo inchina
leghi ora in uno et ora in altro modo;
ma me sol ad un nodo
legar potei, che 'l ciel di piu non volse.
Quel'uno e rotto; e 'n liberta non godo
ma piango et grido: " Ahi nobil pellegrina,
qual sententia divina
me lego inanzi, et te prima disciolse?
Dio, che si tosto al mondo ti ritolse,
ne mostro tanta et si alta virtute
solo per infiammar nostro desio ".
Certo ormai non tem'io,
Amor, de la tua man nove ferute;
indarno tendi l'arco, a voito scocchi;
sua virtu cadde al chiuder de' begli occhi.
Morte m'a sciolto, Amor, d'ogni tua legge:
quella che fu mia donna al ciel e gita,
lasciando trista et libera mia vita.

    271



L'ardente nodo ov'io fui d'ora in hora,
contando, anni ventuno interi preso,
Morte disciolse, ne gia mai tal peso
provai, ne credo ch'uom di dolor mora.
Non volendomi Amor perdere anchora,
ebbe un altro lacciuol fra l'erba teso,
et di nova esca un altro foco acceso,
tal ch'a gran pena indi scampato fora.
Et se non fosse esperientia molta
de' primi affanni, i' sarei preso et arso,
tanto piu quanto son men verde legno.
Morte m'a liberato un'altra volta,
et rotto 'l nodo, e 'l foco a spento et sparso:
contra la qual non val forza ne 'ngegno.

    272



La vita fugge, et non s'arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi danno guerra, et le future anchora;
e 'l rimembrare et l'aspettar m'accora,
or quinci or quindi, si che 'n veritate,
se non ch'i' o di me stesso pietate,
i' sarei gia di questi penser' fora.
Tornami avanti, s'alcun dolce mai
ebbe 'l cor tristo; et poi da l'altra parte
veggio al mio navigar turbati i venti;
veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.

    273



Che fai? Che pensi? che pur dietro guardi
nel tempo, che tornar non pote omai?
Anima sconsolata, che pur vai
giungnendo legne al foco ove tu ardi?
Le soavi parole e i dolci sguardi
ch'ad un ad un descritti et depinti ai,
son levati de terra; et e, ben sai,
qui ricercarli intempestivo et tardi.
Deh non rinovellar quel che n'ancide
non seguir piu penser vago, fallace,
ma saldo et certo, ch'a buon fin ne guide.
Cerchiamo 'l ciel, se qui nulla ne piace:
che mal per noi quella belta si vide,
se viva et morta ne devea tor pace.

    274



Datemi pace, o duri miei pensieri:
non basta ben ch'Amor, Fortuna et Morte
mi fanno guerra intorno e 'n su le porte,
senza trovarmi dentro altri guerreri?
Et tu, mio cor, anchor se' pur qual eri,
disleal a me sol, che fere scorte
vai ricettando, et se' fatto consorte
de' miei nemici si pronti et leggieri?
In te i secreti suoi messaggi Amore,
in te spiega Fortuna ogni sua pompa,
et Morte la memoria di quel colpo
che l'avanzo di me conven che rompa;
in te i vaghi pensier' s'arman d'errore:
perche d'ogni mio mal te solo incolpo.

    275



Occhi miei, oscurato e 'l nostro sole;
anzi e salito al cielo, et ivi splende:
ivi il vedremo anchora, ivi n'attende,
et di nostro tardar forse li dole.
Orecchie mie, l'angeliche parole
sonano in parte ove e chi meglio intende.
Pie' miei, vostra ragion la non si stende
ov'e colei ch'esercitar vi sole.
Dunque perche mi date questa guerra?
Gia di perdere a voi cagion non fui
vederla, udirla et ritrovarla in terra:
Morte biasmate; anzi laudate Lui
che lega et scioglie, e 'n un punto apre et serra.
e dopo 'l pianto sa far lieto altrui.

    276



Poi che la vista angelica, serena,
per subita partenza in gran dolore
lasciato a l'alma e 'n tenebroso horrore,
cerco parlando d'allentar mia pena.
Giusto duol certo a lamentar mi mena:
sassel chi n'e cagione, et sallo Amore,
ch'altro rimedio non avea 'l mio core
contra i fastidi onde la vita e piena.
Questo un, Morte, m'a tolto la tua mano;
et tu che copri et guardi et ai or teco,
felice terra, quel bel viso humano,
me dove lasci, sconsolato et cieco,
poscia che 'l dolce et amoroso et piano
lume degli occhi miei non e piu meco?

    277



S'Amor novo consiglio non n'apporta,
per forza converra che 'l viver cange:
tanta paura et duol l'alma trista ange,
che 'l desir vive, et la speranza e morta;
onde si sbigottisce et si sconforta
mia vita in tutto, et notte et giorno piange,
stanca senza governo in mar che frange,
e 'n dubbia via senza fidata scorta.
Imaginata guida la conduce,
che la vera e sotterra, anzi e nel cielo,
onde piu che mai chiara al cor traluce:
agli occhi no, ch'un doloroso velo
contende lor la disiata luce,
et me fa si per tempo cangiar pelo.

    278



Ne l'eta sua piu bella et piu fiorita,
quando aver suol Amor in noi piu forza,
lasciando in terra la terrena scorza,
e l'aura mia vital da me partita,
et viva et bella et nuda al ciel salita:
indi mi signoreggia, indi mi sforza.
Deh perche me del mio mortal non scorza
l'ultimo di, ch'e primo a l'altra vita?
Che, come i miei pensier' dietro a lei vanno,
cosi leve, expedita et lieta l'alma
la segua, et io sia fuor di tanto affanno.
Cio che s'indugia e proprio per mio damno,
per far me stesso a me piu grave salma.
O che bel morir era, oggi e terzo anno!

    279



Se lamentar augelli, o verdi fronde
mover soavemente a l'aura estiva,
o roco mormorar di lucide onde
s'ode d'una fiorita et fresca riva,
la 'v'io seggia d'amor pensoso et scriva,
lei che 'l ciel ne mostro, terra n'asconde,
veggio, et odo, et intendo ch'anchor viva
di si lontano a' sospir' miei risponde.
" Deh, perche inanzi 'l tempo ti consume?
" mi dice con pietate " a che pur versi
degli occhi tristi un doloroso fiume?
Di me non pianger tu, che' miei di fersi
morendo eterni, et ne l'interno lume,
quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi ".

    280



Mai non fui in parte ove si chiar vedessi
quel che veder vorrei poi ch'io nol vidi,
ne dove in tanta liberta mi stessi,
ne 'mpiessi il ciel de si amorosi stridi;
ne gia mai vidi valle aver si spessi
luoghi da sospirar riposti et fidi;
ne credo gia ch'Amor in Cipro avessi,
o in altra riva, si soavi nidi.
L'acque parlan d'amore, et l'ora e i rami
et gli augelletti et i pesci e i fiori et l'erba,
tutti inseme pregando ch'i' sempre ami.
Ma tu, ben nata, che dal ciel mi chiami,
per la memoria di tua morte acerba
preghi ch'i' sprezzi 'l mondo e i suoi dolci hami.

    281



Quante fiate, al mio dolce ricetto
fuggendo altrui et, s'esser po, me stesso,
vo con gli occhi bagnando l'erba e 'l petto,
rompendo co' sospir' l'aere da presso!
Quante fiate sol, pien di sospetto,
per luoghi ombrosi et foschi mi son messo,
cercando col penser l'alto diletto
che Morte a tolto, ond'io la chiamo spesso!
Or in forma di ninpha o d'altra diva
che del piu chiaro fondo di Sorga esca,
et pongasi a sedere in su la riva;
or l'o veduto su per l'erba fresca
calcare i fior' com'una donna viva,
mostrando in vista che di me le 'ncresca.

    282



Alma felice che sovente torni
a consolar le mie notti dolenti
con gli occhi tuoi che Morte non a spenti,
ma sovra 'l mortal modo fatti adorni:
quanto gradisco che' miei tristi giorni
a rallegrar de tua vista consenti!
Cosi comincio a ritrovar presenti
le tue bellezze a' suoi usati soggiorni,
la 've cantando andai di te molt'anni,
or, come vedi, vo di te piangendo:
di te piangendo no, ma de' miei danni.
Sol un riposo trovo in molti affanni,
che, quando torni, te conosco e 'ntendo
a l'andar, a la voce, al volto, a' panni.

    283



Discolorato ai, Morte, il piu bel volto
che mai si vide, e i piu begli occhi spenti;
spirto piu acceso di vertuti ardenti
del piu leggiadro et piu bel nodo ai sciolto.
In un momento ogni mio ben m'ai tolto,
post'ai silenzio a' piu soavi accenti
che mai s'udiro, et me pien di lamenti:
quant'io veggio m'e noia, et quand'io ascolto.
Ben torna a consolar tanto dolore
madonna, ove Pieta la riconduce:
ne trovo in questa vita altro soccorso.
Et se come ella parla, et come luce,
ridir potessi, accenderei d'amore,
non diro d'uom, un cor di tigre o d'orso.

    284



Si breve e 'l tempo e 'l penser si veloce
che mi rendon madonna cosi morta,
ch'al gran dolor la medicina e corta:
pur, mentr'io veggio lei, nulla mi noce.
Amor, che m'a legato et tienmi in croce,
trema quando la vede in su la porta
de l'alma ove m'ancide, anchor si scorta,
si dolce in vista et si soave in voce.
Come donna in suo albergo altera vene,
scacciando de l'oscuro et grave core
co la fronte serena i pensier' tristi.
L'alma, che tanta luce non sostene,
sospira et dice: " O benedette l'ore
del di che questa via con li occhi apristi! "

    285



Ne mai pietosa madre al caro figlio
ne donna accesa al suo sposo dilecto
die' con tanti sospir', con tal sospetto
in dubbio stato si fedel consiglio,
come a me quella che 'l mio grave exiglio
mirando dal suo eterno alto ricetto,
spesso a me torna co l'usato affecto,
et di doppia pietate ornata il ciglio:
or di madre, or d'amante; or teme, or arde
d'onesto foco; et nel parlar mi mostra
quel che 'n questo viaggio fugga o segua,
contando i casi de la vita nostra,
pregando ch'a levar l'alma non tarde:
et sol quant'ella parla, o pace o tregua.

    286



Se quell'aura soave de' sospiri
ch'i' odo di colei che qui fu mia
donna, or e in cielo, et anchor par qui sia,
et viva, et senta, et vada, et ami, et spiri,
ritrar potessi, or che caldi desiri
movrei parlando! si gelosa et pia
torna ov'io son, temendo non fra via
mi stanchi, o 'ndietro o da man manca giri.
Ir dritto, alto, m'insegna; et io, che 'ntendo
le sue caste lusinghe e i giusti preghi
col dolce mormorar pietoso et basso,
secondo lei conven mi regga et pieghi,
per la dolcezza che del suo dir prendo,
ch'avria vertu di far piangere un sasso.

    287



Sennuccio mio, benche doglioso et solo
m'abbi lasciato, i' pur mi riconforto,
perche del corpo ov'eri preso et morto,
alteramente se' levato a volo.
Or vedi inseme l'un et l'altro polo,
le stelle vaghe et lor viaggio torto,
et vedi il veder nostro quanto e corto,
onde col tuo gioir tempro 'l mio duolo.
Ma ben ti prego che 'n la terza spera
Guitton saluti, et messer Cino, et Dante,
Franceschin nostro, et tutta quella schiera.
A la mia donna puoi ben dire in quante
lagrime io vivo; et son fatt'una fera,
membrando il suo bel viso et l'opre sante.

    288



I' o pien di sospir' quest'aere tutto,
d'aspri colli mirando il dolce piano
ove nacque colei ch'avendo in mano
meo cor in sul fiorire e 'n sul far frutto,
e gita al cielo, ed ammi a tal condutto,
col subito partir, che, di lontano
gli occhi miei stanchi lei cercando invano,
presso di se non lassan loco asciutto.
Non e sterpo ne sasso in questi monti,
non ramo o fronda verde in queste piagge,
non fiore in queste valli o foglia d'erba,
stilla d'acqua non ven di queste fonti,
ne fiere an questi boschi si selvagge,
che non sappian quanto e mia pena acerba.

    289



L'alma mia fiammma oltra le belle bella,
ch'ebbe qui 'l ciel si amico et si cortese,
anzi tempo per me nel suo paese
e ritornata, et a la par sua stella.
Or comincio a svegliarmi, et veggio ch'ella
per lo migliore al mio desir contese,
et quelle voglie giovenili accese
tempro con una visita dolce et fella.
Lei ne ringratio, e 'l suo alto consiglio,
che col bel viso et co' soavi sdegni
faceami ardendo pensar mia salute.
O leggiadre arti et lor effetti degni,
l'un co la lingua oprar, l'altra col ciglio,
io gloria in lei, et ella in me virtute!

    290



Come va 'l mondo! or mi diletta et piace
quel che piu mi dispiaque; or veggio et sento
che per aver salute ebbi tormento,
et breve guerra per eterna pace.
O speranza, o desir sempre fallace,
et degli amanti piu ben per un cento!
O quant'era il peggior farmi contento
quella ch'or siede in cielo, e 'n terra giace!
Ma 'l ceco Amor et la mia sorda mente
mi traviavan si, ch'andar per viva
forza mi convenia dove morte era.
Benedetta colei ch'a miglior riva
volse il mio corso, et l'empia voglia ardente
lusingando affreno perch'io non pera.

    291



Quand'io veggio dal ciel scender l'Aurora
co la fronte di rose et co' crin' d'oro,
Amor m'assale, ond'io mi discoloro,
et dico sospirando: Ivi e Laura ora.
O felice Titon, tu sai ben l'ora
da ricovrare il tuo caro tesoro:
ma io che debbo far del dolce alloro?
che se 'l vo' riveder, conven ch'io mora.
I vostri dipartir' non son si duri,
ch'almen di notte suol tornar colei
che non a schifo le tue bianche chiome:
le mie notti fa triste, e i giorni oscuri,
quella che n'a portato i penser' miei,
ne di se m'a lasciato altro che 'l nome.

    292



Gli occhi di ch'io parlai si caldamente,
et le braccia et le mani et i piedi e 'l viso,
che m'avean si da me stesso diviso,
et fatto singular da l'altra gente;
le crespe chiome d'or puro lucente
e 'l lampeggiar de l'angelico riso,
che solean fare in terra un paradiso,
poca polvere son, che nulla sente.
Et io pur vivo, onde mi doglio et sdegno,
rimaso senza 'l lume ch'amai tanto,
in gran fortuna e 'n disarmato legno.
Or sia qui fine al mio amoroso canto:
secca e la vena de l'usato ingegno,
et la cetera mia rivolta in pianto.

    293



S'io avesse pensato che si care
fossin le voci de' sospir' miei in rima,
fatte l'avrei, dal sospirar mio prima,
in numero piu spesse, in stil piu rare.
Morta colei che mi facea parlare,
et che si stava de' pensier' miei in cima,
non posso, et non o piu si dolce lima,
rime aspre et fosche far soavi et chiare.
Et certo ogni mio studio in quel tempo era
pur di sfogare il doloroso core
in qualche modo, non d'acquistar fama.
Pianger cercai, non gia del pianto honore:
or vorrei ben piacer; ma quella altera
tacito stanco dopo se mi chiama.

    294



Soleasi nel mio cor star bella et viva,
com'altra donna in loco humile et basso:
or son fatto io per l'ultimo suo passo
non pur mortal, ma morto, et ella e diva.
L'alma d'ogni suo ben spogliata et priva,
Amor de la sua luce ignudo et casso
devrian de la pieta romper un sasso,
ma non e chi lor duol riconti o scriva:
che piangon dentro, ov'ogni orecchia e sorda,
se non la mia, cui tanta doglia ingombra,
ch'altro che sospirar nulla m'avanza.
Veramente siam noi polvere et ombra,
veramente la voglia cieca e 'ngorda,
veramente fallace e la speranza.

    295



Soleano i miei penser' soavemente
di lor obgetto ragionare inseme:
" Pieta s'appressa, e del tardar si pente;
forse or parla di noi, o spera, o teme. "
Poi che l'ultimo giorno et l'ore extreme
spogliar di lei questa vita presente,
nostro stato dal ciel vede, ode et sente:
altra di lei non e rimaso speme.
O miracol gentile, o felice alma,
o belta senza exempio altera et rara,
che tosto e ritornata ond'ella uscio!
Ivi a del suo ben far corona et palma
quella ch'al mondo si famosa et chiara
fe' la sua gran vertute, e 'l furor mio.

    296



I' mi soglio accusare, et or mi scuso,
anzi me pregio et tengo assai piu caro,
de l'onesta pregion, del dolce amaro
colpo, ch'i' portai gia molt'anni chiuso.
Invide Parche, si repente il fuso
troncaste, ch'attorcea soave et chiaro
stame al mio laccio, et quello aurato et raro
strale, onde morte piacque oltra nostro uso!
Che non fu d'allegrezza a' suoi di mai,
di liberta, di vita alma si vaga,
che non cangiasse 'l suo natural modo,
togliendo anzi per lei sempre trar guai
che cantar per qualunque, e di tal piaga
morir contenta, et viver in tal nodo.

    297



Due gran nemiche inseme erano agiunte,
Bellezza et Honesta, con pace tanta
che mai rebellion l'anima santa
non senti poi ch'a star seco fur giunte;
et or per Morte son sparse et disgiunte:
l'una e nel ciel, che se ne gloria et vanta;
l'altra sotterra, che ' begli occhi amanta,
onde uscir gia tant'amorose punte.
L'atto soave, e 'l parlar saggio humile
che movea d'alto loco, e 'l dolce sguardo
che piagava il mio core (anchor l'acenna),
sono spariti; et s'al seguir son tardo,
forse averra che 'l bel nome gentile
consecrero con questa stanca penna.

    298



Quand'io mi volgo indietro a miarar gli anni
ch'anno fuggendo i miei penseri sparsi,
et spento 'l foco ove agghiacciando io arsi,
et finito il riposo pien d'affanni,
rotta la fe' degli amorosi inganni,
et sol due parti d'ogni mio ben farsi,
l'una nel cielo et l'altra in terra starsi,
et perduto il guadagno de' miei damni,
i' mi riscuto, et trovomi si nudo,
ch'i' porto invidia ad ogni extrema sorte:
tal cordoglio et paura o di me stesso.
O mia stella, o Fortuna, o Fato, o Morte,
o per me sempre dolce giorno et crudo,
come m'avete in basso stato messo!

    299



Ov'e la fronte, che con picciol cenno
volgea il mio core in questa parte e 'n quella?
Ov'e 'l bel ciglio, et l'una et l'altra stella
ch'al corso del mio viver lume denno?
Ov'e 'l valor, la conoscenza e 'l senno?
L'accorta, honesta, humil, dolce favella?
Ove son le bellezze accolte in ella,