lasciasti in terra, et quel soave velo
che per alto destin ti venne in sorte.
Nel tuo partir, parti nel mondo Amore
et Cortesia, e 'l sol cadde del cielo,
et dolce incomincio farsi la morte.

    353



Vago augelletto che cantando vai,
over piangendo, il tuo tempo passato,
vedendoti la notte e 'l verno a lato
e 'l di dopo le spalle e i mesi gai,
se, come i tuoi gravosi affanni sai,
cosi sapessi il mio simile stato,
verresti in grembo a questo sconsolato
a partir seco i dolorosi guai.
I' non so se le parti sarian pari,
che quella cui tu piangi e forse in vita,
di ch'a me Morte e 'l ciel son tanto avari;
ma la stagione et l'ora men gradita,
col membrar de' dolci anni et de li amari,
a parlar teco con pieta m'invita.

    356



Deh porgi mano a l'affannato ingegno,
Amor, et a lo stile stancho et frale,
per dir di quella ch'e fatta immortale,
et cittadina del celeste regno;
dammi, signor, che 'l mio dir giunga al segno
de le sue lode, ove per se non sale,
se vertu, se belta non ebbe eguale
il mondo, che d'aver lei non fu degno.
Responde: " Quanto 'l ciel et io possiamo,
e i buon' consigli, e 'l conversar honesto,
tutto fu in lei, di che noi Morte a privi.
Forma par non fu mai dal di ch'Adamo
aperse li occhi in prima; et basti or questo:
piangendo i' 'l dico, et tu piangendo scrivi. "

    355



O tempo, o ciel volubil, che fuggendo
inganni i ciechi et miseri mortali,
o di veloci piu che vento et strali,
ora ab experto vostre frodi intendo:
ma scuso voi, et me stesso riprendo,
che Natura a volar v'aperse l'ali,
a me diede occhi, et io pur ne' miei mali
li tenni, onde vergogna et dolor prendo.
Et sarebbe ora, et e passata omai,
di rivoltarli, in piu secura parte,
et poner fine a li 'nfiniti guai;
ne dal tuo giogo, Amor, l'alma si parte,
ma dal suo mal; con che studio tu 'l sai;
non a caso e vertute, anzi e bell'arte.

    356



L'aura mia sacra al mio stanco riposo
spira si spesso, ch'i' prendo ardimento
di dirle il mal ch'i'o sentito et sento,
che, vivendo ella, non sarei stat'oso.
I' incomoncio da quel guardo amoroso,
che fu principio a si lungo tormento,
poi seguo come misero et contento,
di di in di, d'ora in hora, Amor m'a roso.
Ella si tace, et di pieta depinta,
fiso mira pur me; parte sospira,
et di lagrime honeste il viso adorna:
onde l'anima mia dal dolor vinta,
mentre piangendo allor seco s'adira,
sciolta dal sonno a se stessa ritorna.

    357



Ogni giorno mi par piu di mill'anni
ch'i' segua la mia fida et cara duce,
che mi condusse al mondo, or mi conduce,
per miglior via, a vita senza affanni:
et non mi posson ritener li 'inganni
del mondo, ch'i' 'l conosco; et tanta luce
dentro al mio core infin dal ciel traluce
ch'i' 'ncomincio a contar il tempo e i danni.
Ne minaccie temer debbo di morte,
che 'l Re sofferse con piu grave pena,
per farme a seguitar constante et forte;
et or novellamente in ogni vena
intro di lei che m'era data in sorte,
et non turbo la sua fronte serena.

    358



Non po far Morte il dolce viso amaro,
ma 'l dolce viso dolce po far Morte.
Che bisogn'a morir ben altre scorte?
Quella mi scorge ond'ogni ben imparo;
et Quei che del Suo sangue non fu avaro,
che col pe' ruppe le tartaree porte,
col Suo morir par che mi riconforte.
Dunque vien', Morte: il tuo venir m'e caro.
Et non tardar, ch'egli e ben tempo omai;
et se non fusse, e' fu 'l tempo in quel punto
che madonna passo di questa vita.
D'allor innanzi un di non vissi mai:
seco fui in via, et seco al fin son giunto,
et mia giornata o co' suoi pie' fornita.

    359



Quando il soave mio fido conforto
per dar riposo a la mia vita stanca
ponsi del letto in su la sponda manca
con quel suo dolce ragionare accorto,
tutto di pieta et di paura smorto
dico:" Onde vien' tu ora, o felice alma? "
Un ramoscel di palma
et un di lauro trae del suo bel seno,
et dice:" Dal sereno
ciel empireo et di quelle sante parti
mi mossi et vengo sol per consolarti ".
In atto et in parole la ringratio
humilmente, et poi demando: " Or donde
sai tu il mio stato? " Et ella: " Le triste onde
del pianto, di che mai tu non se' satio,
coll'aura de' sospir', per tanto spatio
passano al cielo, et turban la mia pace:
si forte ti dispiace
che di questa miseria sia partita,
et giunta a miglior vita;
che piacer ti devria, se tu m'amasti
quanto in sembianti et ne' tuoi dir' mostrasti ".
Rispondo: " Io non piango altro che me stesso
che son rimaso in tenebre e 'n martire,
certo sempre del tuo al ciel salire
come di cosa ch'uom vede da presso.
Come Dio et Natura avrebben messo
in un cor giovenil tanta vertute,
se l'eterna salute
non fusse destinata al tuo ben fare,
o de l'anime rare,
ch'altamente vivesti qui tra noi,
et che subito al ciel volasti poi?
Ma io che debbo altro che pianger sempre,
misero et sol, che senza te son nulla?
Ch'or fuss'io spento al latte et a la culla,
per non provar de l'amorose tempre! "
Et ella: " A che pur piangi et ti distempre?
Quanto era meglio alzar da terra l'ali,
et le cose mortali
et queste dolci tue fallaci ciance
librar con giusta lance,
et seguir me, s'e ver che tanto m'ami,
cogliendo omai qualchun di questi rami! "
" I' volea demandar " respond'io allora :
" Che voglion importar quelle due frondi? "
Et ella: " Tu medesmo ti rispondi,
tu la cui non penna tanto l'una honora:
palma e victoria, et io, giovene anchora,
vinsi il mondo, et me stessa; il lauro segna
triumpho, ond'io son degna,
merce di quel Signor che mi die' forza.
Or tu, s'altri ti sforza,
a Lui ti volgi, a Lui chiedi soccorso,
si che siam Seco al fine del tuo corso ".
" Son questi i capei biondi, et l'aureo nodo, "
dich'io " ch'ancor mi stringe, et quei belli occhi
che fur mio sol? " " Non errar con li sciocchi,
ne parlar " dice " o creder a lor modo.
Spirito ignudo sono, e 'n ciel mi godo:
quel che tu cerchi e terra, gia molt'anni,
ma per trarti d'affanni
m'e dato a parer tale; et anchor quella
saro, piu che mai bella,
a te piu cara, si selvaggia et pia,
salvando inseme tua salute et mia ".
I' piango; et ella il volto
co le sue man' m'asciuga, et poi sospira
dolcemente, et s'adira
con parole che i sassi romper ponno:
et dopo questo si parte ella, e 'l sonno.

    360



Quel'antiquo mio dolce empio signore
fatto citar dinanzi a la reina
che la parte divina
tien di natura nostra e 'n cima sede,
ivi, com'oro che nel foco affina,
mi rappresento cerco di dolore,
di paura et d'orrore,
quasi huom che teme morte et ragion chiede;
e 'ncomincio: " Madonna, il manco piede
giovenetto pos'io nel costui regno,
ond'altro ch'ira et sdegno
non ebbi mai; et tanti et si diversi
tormenti ivi soffersi,
ch'alfine vinta fu quell'infinita
mia patientia, e 'n odio ebbi la vita.
Cosi 'l mio tempo infin qui trapassato
e in fiamma e 'n pene: et quante utili honeste
vie sprezzai, quante feste,
per servir questo lusinghier crudele!
Et qual ingegno a si parole preste,
che stringer possa 'l mio infelice stato,
et le mie d'esto ingrato
tanto et si gravi e si giuste querele?
O poco mel, molto aloe con fele!
In quanto amaro a la mia vita avezza
con sua falsa dolcezza,
la qual m'atrasse a l'amorosa schiera!
Che s'i' non m'inganno, era
disposto a sollevarmi alto da terra:
e' mi tolse di pace et pose in guerra.
Questi m'a fatto men amare Dio
ch'i' non deveva, et men curar me stesso:
per una donna o messo
egualmente in non cale ogni pensero.
Di cio m'e stato consiglier sol esso,
sempr'aguzzando il giovenil desio
a l'empia cote, ond'io
sperai riposo al suo giogo aspro et fero.
Misero, a che quel chiaro ingegno altero,
et l'altre doti a me date dal cielo?
che vo cangiando 'l pelo,
ne cangiar posso l'ostinata voglia:
cosi in tutto mi spoglia
di liberta questo crudel ch'i' accuso,
ch'amaro viver m'a volto in dolce uso.
Cercar m'a fatto deserti paesi,
fiere et ladri rapaci, hispidi dumi,
dure genti et costumi,
et ogni error che' pellegrini intrica,
monti, valli, paludi et mari et fiumi,
mille lacciuoli in ogni parte tesi;
e 'l verno in strani mesi,
con pericol presente et con fatica:
ne costui ne quell'altra mia nemica
ch'i' fuggia, mi lasciavan sol un punto;
onde, s'i' non son giunto
anzi tempo da morte acerba et dura,
pieta celeste a cura
di mia salute non questo tiranno
che del mio duol si pasce, et del mio danno.
Poi che suo fui non ebbi hora tranquilla,
ne spero aver, et le mie notti il sonno
sbandiro, et piu non ponno
per herbe o per incanti a se ritrarlo.
Per inganni et per forza e fatto donno
sovra miei spirti; et no sono poi squilla,
ov'io sia, in qualche villa,
ch'i' non l'udisse. Ei sa che 'l vero parlo:
che legno vecchio mai non rose tarlo
come questi 'l mio core, in che s'annida,
et di morte lo sfida.
Quinci nascon le lagrime e i martiri,
le parole e i sospiri,
di ch'io mi vo stancando, et forse altrui.
Giudica tu, che me conosci et lui. "
Il mio adversario con agre rampogne
comincia: " O donna, intendi l'altra parte,
che 'l vero, onde si parte
quest'ingrato, dira senza defecto.
Questi in sua prima eta fu dato a l'arte
da vender parolette, anzi menzogne;
ne par che si vergogne,
tolto da quella noia al mio dilecto,
lamentarsi di me, che puro et netto,
contra 'l desio, che spesso il suo mal vole,
lui tenni, ond'or si dole,
in dolce vita, ch'ei miseria chiama:
salito in qualche fama
solo per me, che 'l suo intellecto alzai
ov'alzato per se non fora mai.
Ei sa che 'l grande Atride et l'alto Achille,
et Hanibal al terren vostro amaro,
et di tutti il piu chiaro
un altro et di vertute et di fortuna,
com'a ciascun le sue stelle ordinaro,
lasciai cader in vil amor d'ancille:
et a costui di mille
donne electe, excellenti, n'elessi una,
qual non si vedra mai sotto la luna,
benche Lucretia ritornasse a Roma;
et si dolce ydioma
le diedi, et un cantar tanto soave,
che penser basso o grave
non pote mai durar dinanzi a lei.
Questi fur con costui li 'nganni mei.
Questo fu il fel, questi li sdegni et l'ire,
piu dolci assai che di null'altra il tutto.
Di bon seme mal frutto
mieto; et tal merito a chi 'ngrato serve.
Si l'avea sotto l'ali mie condutto,
ch'a donne et cavalier piacea il suo dire;
et si alto salire
i''l feci, che tra' caldi ingegni ferve
il suo nome et de' suoi detti conserve
si fanno con diletto in alcun loco;
ch'or saria forse un roco
mormorador di corti, un huom del vulgo:
i' l'exalto et divulgo,
per quel ch'elli 'mparo ne la mia scola,
et da colei che fu nel mondo sola.
Et per dir a l'extremo il gran servigio,
da mille acti inhonesti l'o ritratto,
che mai per alcun pacto
a lui piacer non poteo cosa vile:
giovene schivo et vergognoso in acto
et in penser, poi che fatto era huom ligio
di lei ch'alto vestigio
li 'mpresse al core, et fecel suo simile.
Quanto a del pellegrino et del gentile,
da lei tene, et da me, di cui si biasma.
Mai nocturno fantasma
d'error non fu si pien com'ei ver' noi:
ch'e in gratia, da poi
che ne conobbe, a Dio et a la gente.
Di cio il superbo si lamenta et pente.
Ancor, et questo e quel che tutto avanza,
da volar sopra 'l ciel li avea dat'ali
per le cose mortali,
che son scala al fattor, chi ben l'estima;
che mirando ei ben fiso quante et quali
eran vertuti in quella sua speranza,
d'una in altra sembianza
potea levarsi a l'alta cagion prima;
et ei l'a detto alcuna volta in rima,
or m'a posto in oblio con quella donna
ch'i' li die' per colonna
de la sua frale vita. " A questo un strido
lagrimoso alzo et grido:
" Ben me la die', ma tosto la ritolse. "
Responde: " Io no, ma Chi per se la volse. "
Alfin ambo conversi al giusto seggio,
i' con tremanti, ei con voci alte et crude,
ciascun per se conchiude:
" Nobile donna, tua sententia attendo. "
Ella allor sorridendo:
" Piacemi aver vostre questioni udite,
ma piu tempo bisogna a tanta lite. "

    361



Dicemi spesso il mio fidato speglio,
l'animo stanco, et la cangiata scorza,
et la scemata mia destrezza et forza:
" Non ti nasconder piu: tu se' pur veglio.
Obedir a Natura in tutto e il meglio,
ch'a contender con lei il tempo ne sforza. "
Subito allor, com'acqua 'l foco amorza,
d'un lungo et grave sonno mi risveglio:
et veggio ben che 'l nostro viver vola
et ch'esser non si po piu d'una volta;
e 'n mezzo 'l cor mi sona una parola
di lei ch'e or dal suo bel nodo sciolta,
ma ne' suoi giorni al mondo fu si sola,
ch'a tutte, s'i' non erro, fama a tolta.

    362



Volo con l'ali de' pensieri al cielo
si spesse volte che quasi un di loro
esser mi par ch'an ivi il suo thesoro,
lasciando in terra lo squarciato velo.
Talor mi trema 'l cor d'un dolce gelo
udendo lei per ch'io mi discoloro
dirmi: " Amico, or t'am'io et or t'onoro
perch'a i costumi variati, e 'l pelo. "
Menami al suo Signor: allor m'inchino,
pregando humilemente che consenta
ch'i' stia a veder et l'uno et l'altro volto.
Responde: " Egli e ben fermo il tuo destino;
et per tardar anchor vent'anni o trenta,
parra a te troppo, et non fia pero molto. "

    363



Morte a spento quel sol ch'abagliar suolmi,
e 'n tenebre son gli occhi interi et saldi;
terra e quella ond'io ebbi et freddi et caldi;
spenti son i miei lauri, or querce et olmi:
di ch'io veggio 'l mio ben; et parte duolmi.
Non e chi faccia et paventosi et baldi
i miei penser', ne chi li agghiacci et scaldi,
ne chi li empia di speme, et di duol colmi.
Fuor di man di colui che punge et molce,
che gia fece di me si lungo stratio,
mi trovo in libertate, amara et dolce;
et al Signor ch'i' adoro et ch'i' ringratio,
che pur col ciglio il ciel governa et folce,
torno stanco di viver, nonche satio.

    364



Tenemmi Amor anni ventuno ardendo,
lieto nel foco, et nel duol pien di speme;
poi che madonna e 'l mio cor seco inseme
saliro al ciel, dieci altri anni piangendo.
Omai son stanco, et mia vita reprendo
di tanto error che di vertute il seme
a quasi spento; et le mie parti extreme,
alto Dio, a te devotamente rendo:
pentito et tristo de' miei si spesi anni,
che spender si deveano in miglior uso,
in cercar pace et in fuggir affanni.
Signor che 'n questo carcer m'ai rinchiuso,
tramene, salvo da li eterni danni,
ch'i' conosco 'l mio fallo, et non lo scuso.

    365



I' vo piangendo i miei passati tempi
i quai posi in amar cosa mortale,
senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale,
per dar forse di me non bassi exempi.
Tu che vedi i miei mali indegni et empi,
Re del cielo invisibile immortale,
soccorri a l'alma disviata et frale,
e 'l suo defecto di tua gratia adempi:
si che, s'io vissi in guerra et in tempesta,
mora in pace et in porto; et se la stanza
fu vana, almen sia la partita honesta.
A quel poco di viver che m'avanza
et al morir, degni esser Tua man presta:
Tu sai ben che 'n altrui non o speranza.

    366



Vergin bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti si, che 'n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so 'ncominciar senza tu' aita,
et di Colui ch'amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamo con fede:
Vergine, s'a mercede
miseria extrema de l'humane cose
gia mai ti volse, al mio prego t'inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench'i' sia terra, et tu del ciel regina.
Vergine saggia, et del bel numero una
de le beate vergini prudenti,
anzi la prima, et con piu chiara lampa;
o saldo scudo de l'afflicte genti
contra colpi di Morte et di Fortuna,
sotto 'l qual si triumpha, non pur scampa;
o refrigerio al cieco ardor ch'avampa
qui fra i mortali sciocchi:
Vergine, que' belli occhi
che vider tristi la spietata stampa
ne' dolci membri del tuo caro figlio,
volgi al mio dubbio stato,
che sconsigliato a te ven per consiglio.
Vergine pura, d'ogni parte intera,
del tuo parto gentil figliola et madre,
ch'allumi questa vita, et l'altra adorni,
per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,
o fenestra del ciel lucente altera,
venne a salvarne in su li extremi giorni;
et fra tutt'i terreni altri soggiorni
sola tu fosti electa,
Vergine benedetta,
che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni.
Fammi, che puoi, de la Sua gratia degno,
senza fine o beata,
gia coronata nel superno regno.
Vergine santa d'ogni gratia piena,
che per vera et altissima humiltate
salisti al ciel onde miei preghi ascolti,
tu partoristi il fonte di pietate,
et di giustitia il sol, che rasserena
il secol pien d'errori oscuri et folti;
tre dolci et cari nomi ai in te raccolti,
madre, figliuola et sposa:
Vergina gloriosa,
donna del Re che nostri lacci a sciolti
et fatto 'l mondo libero et felice,
ne le cui sante piaghe
prego ch'appaghe il cor, vera beatrice.
Vergine sola al mondo senza exempio,
che 'l ciel di tue bellezze innamorasti,
cui ne prima fu simil ne seconda,
santi penseri, atti pietosi et casti
al vero Dio sacrato et vivo tempio
fecero in tua verginita feconda.
Per te po la mia vita esser ioconda,
s'a' tuoi preghi, o Maria,
Vergine dolce et pia,
ove 'l fallo abondo, la gratia abonda.
Con le ginocchia de la mente inchine,
prego che sia mia scorta,
et la mia torta via drizzi a buon fine.
Vergine chiara et stabile in eterno,
di questo tempestoso mare stella,
d'ogni fedel nocchier fidata guida,
pon' mente in che terribile procella
i' mi ritrovo sol, senza governo,
et o gia da vicin l'ultime strida.
Ma pur in te l'anima mia si fida,
peccatrice, i' no 'l nego,
Vergine; ma ti prego
che 'l tuo nemico del mio mal non rida:
ricorditi che fece il peccar nostro,
prender Dio per scamparne,
humana carne al tuo virginal chiostro.
Vergine, quante lagrime o gia sparte,
quante lusinghe et quanti preghi indarno,
pur per mia pena et per mio grave danno!
Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno,
cercando or questa et or quel'altra parte,
non e stata mia vita altro ch'affanno.
Mortal bellezza, atti et parole m'anno
tutta ingombrata l'alma.
Vergine sacra et alma,
non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno.
I di miei piu correnti che saetta
fra miserie et peccati
sonsen' andati, et sol Morte n'aspetta.
Vergine, tale e terra, et posto a in doglia
lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne
et de mille miei mali un non sapea:
et per saperlo, pur quel che n'avenne
fora avenuto, ch'ogni altra sua voglia
era a me morte, et a lei fama rea.
Or tu donna del ciel, tu nostra dea
(se dir lice, e convensi),
Vergine d'alti sensi,
tu vedi il tutto; e quel che non potea
far altri, e nulla a la tua gran vertute,
por fine al mio dolore;
ch'a te honore, et a me fia salute.
Vergine, in cui o tutta mia speranza
che possi et vogli al gran bisogno aitarme,
non mi lasciare in su l'extremo passo.
Non guardar me, ma Chi degno crearme;
no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza,
ch'e in me, ti mova a curar d'uom si basso.
Medusa et l'error mio m'an fatto un sasso
d'umor vano stillante:
Vergine, tu di sante
lagrime et pie adempi 'l meo cor lasso,
ch'almen l'ultimo pianto sia devoto,
senza terrestro limo,
come fu 'l primo non d'insania voto.
Vergine humana, et nemica d'orgoglio,
del comune principio amor t'induca:
miserere d'un cor contrito humile.
Che se poca mortal terra caduca
amar con si mirabil fede soglio,
che devro far di te, cosa gentile?
Se dal mio stato assai misero et vile
per le tue man' resurgo,
Vergine, i' sacro et purgo
al tuo nome et penseri e 'ngegno et stile,
la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri.
Scorgimi al miglior guado,
et prendi in grado i cangiati desiri.
Il di s'appressa, et non pote esser lunge,
si corre il tempo et vola,
Vergine unica et sola,
e 'l cor or coscientia or morte punge.
Raccomandami al tuo figliuol, verace
homo et verace Dio,
ch'accolga 'l mio spirto ultimo in pace.