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Origin: Francesco Petrarca "Canzoniere"
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Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,
del vario stile in ch'io piango et ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pieta, nonche perdono.
Ma ben veggio or si come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna e 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo e breve sogno.
Per fare una leggiadra sua vendetta
et punire in un di ben mille offese,
celatamente Amor l'arco riprese,
come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta.
Era la mia virtute al cor ristretta
per far ivi et ne gli occhi sue difese,
quando 'l colpo mortal la giu discese
ove solea spuntarsi ogni saetta.
Pero, turbata nel primiero assalto,
non ebbe tanto ne vigor ne spazio
che potesse al bisogno prender l'arme,
overo al poggio faticoso et alto
ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, et non po, aitarme.
Era il giorno ch'al sol si scoloraro
per la pieta del suo factore i rai,
quando i' fui preso, et non me ne guardai,
che i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d'Amor: pero m'andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:
pero al mio parer non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco.
Que' ch'infinita providentia et arte
mostro nel suo mirabil magistero,
che crio questo et quell'altro hemispero,
et mansueto piu Giove che Marte,
vegnendo in terra a 'lluminar le carte
ch'avean molt'anni gia celato il vero,
tolse Giovanni da la rete et Piero,
et nel regno del ciel fece lor parte.
Di se nascendo a Roma non fe' gratia,
a Giudea si, tanto sovr'ogni stato
humiltate exaltar sempre gli piacque;
ed or di picciol borgo un sol n'a dato,
tal che natura e 'l luogo si ringratia
onde si bella donna al mondo nacque.
Quando io movo i sospiri a chiamar voi,
e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
il suon de' primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal, che 'ncontro poi,
raddoppia a l'alta impresa il mio valore;
ma: TAci, grida il fin, che farle honore
e d'altri homeri soma che da' tuoi.
Cosi LAUdare et REverire insegna
la voce stessa, pur ch'altri vi chiami,
o d'ogni reverenza et d'onor degna:
se non che forse Apollo si disdegna
ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
lingua mortal presumptuosa vegna.
Si traviato e 'l folle mi' desio
a seguitar costei che 'n fuga e volta,
et de' lacci d'Amor leggiera et sciolta
vola dinanzi al lento correr mio,
che quanto richiamando piu l'envio
per la secura strada, men m'ascolta:
ne mi vale spronarlo, o dargli volta,
ch'Amor per sua natura il fa restio.
Et poi che 'l fren per forza a se raccoglie,
i' mi rimango in signoria di lui,
che mal mio grado a morte mi trasporta:
sol per venir al lauro onde si coglie
acerbo frutto, che le piaghe altrui
gustando afflige piu che non conforta.
La gola e 'l sonno et l'otiose piume
anno del mondo ogni vertu sbandita,
ond'e dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;
et e si spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s'informa humana vita,
che per cosa mirabile s'addita
chi vol far d'Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?
Povera et nuda vai philosophia,
dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l'altra via:
tanto ti prego piu, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.
A pie' de' colli ove la bella vesta
prese de le terrene membra pria
la donna che colui ch'a te ne 'nvia
spesso dal somno lagrimando desta,
libere in pace passavam per questa
vita mortal, ch'ogni animal desia,
senza sospetto di trovar fra via
cosa ch'al nostr'andar fosse molesta.
Ma del misero stato ove noi semo
condotte da la vita altra serena
un sol conforto, et de la morte, avemo:
che vendetta e di lui ch'a cio ne mena,
lo qual in forza altrui presso a l'extremo
riman legato con maggior catena.
Quando 'l pianeta che distingue l'ore
ad albergar col Tauro si ritorna,
cade vertu da l'infiammate corna
che veste il mondo di novel colore;
et non pur quel che s'apre a noi di fore,
le rive e i colli, di fioretti adorna,
ma dentro dove gia mai non s'aggiorna
gravido fa di se il terrestro humore,
onde tal fructo et simile si colga:
cosi costei, ch'e tra le donne un sole,
in me movendo de' begli occhi i rai
cria d'amor penseri, atti et parole;
ma come ch'ella gli governi o volga,
primavera per me pur non e mai.
Gloriosa columna in cui s'appoggia
nostra speranza e 'l gran nome latino,
ch'ancor non torse del vero camino
l'ira di Giove per ventosa pioggia,
qui non palazzi, non theatro o loggia,
ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino
tra l'erba verde e 'l bel monte vicino,
onde si scende poetando et poggia,
levan di terra al ciel nostr'intellecto;
e 'l rosigniuol che dolcemente all'ombra
tutte le notti si lamenta et piagne,
d'amorosi penseri il cor ne 'ngombra:
ma tanto bel sol tronchi, et fai imperfecto,
tu che da noi, signor mio, ti scompagne.
Lassare il velo o per sole o per ombra,
donna, non vi vid'io
poi che in me conosceste il gran desio
ch'ogni altra voglia d'entr'al cor mi sgombra.
Mentr'io portava i be' pensier' celati,
ch'anno la mente desiando morta,
vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch'Amor di me vi fece accorta,
fuor i biondi capelli allor velati,
et l'amoroso sguardo in se raccolto.
Quel ch'i' piu desiava in voi m'e tolto:
si mi governa il velo
che per mia morte, et al caldo et al gielo,
de' be' vostr'occhi il dolce lume adombra.
Se la mia vita da l'aspro tormento
si puo tanto schermire, et dagli affanni,
ch'i' veggia per vertu de gli ultimi anni,
donna, de' be' vostr'occhi il lume spento,
e i cape' d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e 'l viso scolorir che ne' miei danni
a llamentar mi fa pauroso et lento:
pur mi dara tanta baldanza Amore
ch'i' vi discovriro de' mei martiri
qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore;
et se 'l tempo e contrario ai be' desiri,
non fia ch'almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.
Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna e men bella di lei
tanto cresce 'l desio che m'innamora.
I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora
che si alto miraron gli occhi mei,
et dico: Anima, assai ringratiar dei
che fosti a tanto honor degnata allora.
Da lei ti ven l'amoroso pensero,
che mentre 'l segui al sommo ben t'invia,
pocho prezando quel ch'ogni huom desia;
da lei vien l'animosa leggiadria
ch'al ciel ti scorge per destro sentero,
si ch'i' vo gia de la speranza altero.
Occhi miei lassi, mentre ch'io vi giro
nel bel viso di quella che v'a morti,
pregovi siate accorti,
che gia vi sfida Amore, ond'io sospiro.
Morte po chiuder sola a' miei penseri
l'amoroso camin che gli conduce
al dolce porto de la lor salute;
ma puossi a voi celar la vostra luce
per meno obgetto, perche meno interi
siete formati, et di minor virtute.
Pero, dolenti, anzi che sian venute
l'ore del pianto, che son gia vicine,
prendete or a la fine
breve conforto a si lungo martiro.
Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
col corpo stancho ch'a gran pena porto,
et prendo allor del vostr'aere conforto
che 'l fa gir oltra dicendo: Oime lasso!
Poi ripensando al dolce ben ch'io lasso,
al camin lungo et al mio viver corto,
fermo le piante sbigottito et smorto,
et gli occhi in terra lagrimando abasso.
Talor m'assale in mezzo a'tristi pianti
un dubbio: come posson queste membra
da lo spirito lor viver lontane?
Ma rispondemi Amor: Non ti rimembra
che questo e privilegio degli amanti,
sciolti da tutte qualitati humane?
Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov'a sua eta fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;
indi trahendo poi l'antiquo fianco
per l'extreme giornate di sua vita,
quanto piu po, col buon voler s'aita,
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;
et viene a Roma, seguendo 'l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch'ancor lassu nel ciel vedere spera:
cosi, lasso, talor vo cerchand'io,
donna, quanto e possibile, in altrui
la disiata vostra forma vera.
Piovonmi amare lagrime dal viso
con un vento angoscioso di sospiri,
quando in voi adiven che gli occhi giri
per cui sola dal mondo i' son diviso.
Vero e che 'l dolce mansueto riso
pur acqueta gli ardenti miei desiri,
et mi sottragge al foco de' martiri,
mentr'io son a mirarvi intento et fiso.
Ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi
ch'i' veggio al departir gli atti soavi
torcer da me le mie fatali stelle.
Largata alfin co l'amorose chiavi
l'anima esce del cor per seguir voi;
et con molto pensiero indi si svelle.
Quand'io son tutto volto in quella parte
ove 'l bel viso di madonna luce,
et m'e rimasa nel pensier la luce
che m'arde et strugge dentro a parte a parte,
i' che temo del cor che mi si parte,
et veggio presso il fin de la mia luce,
vommene in guisa d'orbo, senza luce,
che non sa ove si vada et pur si parte.
Cosi davanti ai colpi de la morte
fuggo: ma non si ratto che 'l desio
meco non venga come venir sole.
Tacito vo, che le parole morte
farian pianger la gente; et i' desio
che le lagrime mie si spargan sole.
Son animali al mondo de si altera
vista che 'ncontra 'l sol pur si difende;
altri, pero che 'l gran lume gli offende,
non escon fuor se non verso la sera;
et altri, col desio folle che spera
gioir forse nel foco, perche splende,
provan l'altra vertu, quella che 'encende:
lasso, e 'l mio loco e 'n questa ultima schera.
Ch'i' non son forte ad aspectar la luce
di questa donna, et non so fare schermi
di luoghi tenebrosi, o d' ore tarde:
pero con gli occhi lagrimosi e 'nfermi
mio destino a vederla mi conduce;
et so ben ch'i' vo dietro a quel che m'arde.
Vergognando talor ch'ancor si taccia,
donna, per me vostra bellezza in rima,
ricorro al tempo ch'i' vi vidi prima,
tal che null'altra fia mai che mi piaccia.
Ma trovo peso non da le mie braccia,
ne ovra da polir colla mia lima:
pero l'ingegno che sua forza extima
ne l'operation tutto s'agghiaccia.
Piu volte gia per dir le labbra apersi,
poi rimase la voce in mezzo 'l pecto:
ma qual son poria mai salir tant'alto?
Piu volte incominciai di scriver versi:
ma la penna et la mano et l'intellecto
rimaser vinti nel primier assalto.
Mille fiate, o dolce mia guerrera,
per aver co' begli occhi vostri pace
v'aggio proferto il cor; ma voi non piace
mirar si basso colla mente altera.
Et se di lui fors'altra donna spera,
vive in speranza debile et fallace:
mio, perche sdegno cio ch'a voi dispiace,
esser non puo gia mai cosi com'era.
Or s'io lo scaccio, et e' non trova in voi
ne l'exilio infelice alcun soccorso,
ne sa star sol, ne gire ov'altri il chiama,
poria smarrire il suo natural corso:
che grave colpa fia d'ambeduo noi,
et tanto piu de voi, quanto piu v'ama.
A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch'anno in odio il sole,
tempo da travagliare e quanto e 'l giorno;
ma poi che 'l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s'anida in selva
per aver posa almeno infin a l'alba.
Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l'ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non o mai triegua di sospir' col sole;
pur quand'io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disiando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle,
che m'anno facto di sensibil terra;
et maledico il di ch'i' vidi 'l sole,
e che mi fa in vista un huom nudrito in selva.
Non credo che pascesse mai per selva
si aspra fera, o di nocte o di giorno,
come costei ch'i 'piango a l'ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
che, bench'i' sia mortal corpo di terra,
lo mi fermo desir vien da le stelle.
Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,
o torni giu ne l'amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess'io in lei pieta, che 'n un sol giorno
puo ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba
puommi arichir dal tramontar del sole.
Con lei foss'io da che si parte il sole,
et non ci vedess'altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l'alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch'Apollo la seguia qua giu per terra.
Ma io saro sotterra in secca selva
e 'l giorno andra pien di minute stelle
prima ch'a si dolce alba arrivi il sole.
Nel dolce tempo de la prima etade,
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perche cantando il duol si disacerba,
cantero com'io vissi in libertade,
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.
Poi seguiro si come a lui ne 'ncrebbe
troppo altamente, e che di cio m'avvenne,
di ch'io son facto a molta gente exempio:
benche 'l mio duro scempio
sia scripto altrove, si che mille penne
ne son gia stanche, et quasi in ogni valle
rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
ch'aquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita
come suol fare, iscusilla i martiri,
et un penser che solo angoscia dalle,
tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
e mi face obliar me stesso a forza:
che ten di me quel d'entro, et io la scorza.
I' dico che dal di che 'l primo assalto
mi diede Amor, molt'anni eran passati,
si ch'io cangiava il giovenil aspetto;
e d'intorno al mio cor pensier' gelati
facto avean quasi adamantino smalto
ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima anchor non mi bagnava il petto
ne rompea il sonno, et quel che in me non era,
mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!
La vita el fin, e 'l di loda la sera.
Che sentendo il crudel di ch'io ragiono
infin allor percossa di suo strale
non essermi passato oltra la gonna,
prese in sua scorta una possente donna,
ver' cui poco gia mai mi valse o vale
ingegno, o forza, o dimandar perdono;
e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
facendomi d'uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec'io quando primier m'accorsi
de la trasfigurata mia persona,
e i capei vidi far di quella fronde
di che sperato avea gia lor corona,
e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,
com'ogni membro a l'anima risponde,
diventar due radici sovra l'onde
non di Peneo, ma d'un piu altero fiume,
e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!
Ne meno anchor m' agghiaccia
l'esser coverto poi di bianche piume
allor che folminato et morto giacque
il mio sperar che tropp'alto montava:
che perch'io non sapea dove ne quando
me 'l ritrovasse, solo lagrimando
la 've tolto mi fu, di e nocte andava,
ricercando dallato, et dentro a l'acque;
et gia mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond'io presi col suon color d'un cigno.
Cosi lungo l'amate rive andai,
che volendo parlar, cantava sempre
merce chiamando con estrania voce;
ne mai in si dolci o in si soavi tempre
risonar seppi gli amorosi guai,
che 'l cor s'umiliasse aspro et feroce.
Qual fu a sentir? che 'l ricordar mi coce:
ma molto piu di quel, che per inanzi
de la dolce et acerba mia nemica
e bisogno ch'io dica,
benche sia tal ch'ogni parlare avanzi.
Questa che col mirar gli animi fura,
m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
dicendo a me: Di cio non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,
tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi 'l ver pien di paura;
ed ella ne l'usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oime lasso,
d'un quasi vivo et sbigottito sasso.
Ella parlava si turbata in vista,
che tremar mi fea dentro a quella petra,
udendo: I' non son forse chi tu credi.
E dicea meco: Se costei mi spetra,
nulla vita mi fia noiosa o trista;
a farmi lagrimar, signor mio, riedi.
Come non so: pur io mossi indi i piedi,
non altrui incolpando che me stesso,
mezzo tutto quel di tra vivo et morto.
Ma perche 'l tempo e corto,
la penna al buon voler non po gir presso:
onde piu cose ne la mente scritte
vo trapassando, et sol d'alcune parlo
che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al cor avolta,
ne tacendo potea di sua man trarlo,
o dar soccorso a le vertuti afflitte;
le vive voci m'erano interditte;
ond'io gridai con carta et con incostro:
Non son mio, no. S'io moro, il danno e vostro.
Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
d'indegno far cosi di merce degno,
et questa spene m'avea fatto ardito:
ma talora humilta spegne disdegno,
talor l'enfiamma; et cio sepp'io da poi,
lunga stagion di tenebre vestito:
ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
ombra di lei, ne pur de' suoi piedi orma,
come huom che tra via dorma,
gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.
Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai 'l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
ne gia mai neve sotto al sol disparve
com'io senti' me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie' d'un faggio.
Gran tempo humido tenni quel viaggio.
Chi udi mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.
L'alma ch'e sol da Dio facta gentile,
che gia d'altrui non po venir tal gratia,
simile al suo factor stato ritene:
pero di perdonar mai non e sacia
a chi col core et col sembiante humile
dopo quantunque offese a merce vene.
Et se contra suo stile essa sostene
d'esser molto pregata, in Lui si specchia,
et fal perche 'l peccar piu si pavente:
che non ben si ripente
de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.
Poi che madonna da pieta commossa
degno mirarme, et ricognovve et vide
gir di pari la pena col peccato,
benigna mi redusse al primo stato.
Ma nulla a 'l mondo in ch'uom saggio si fide:
ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa
mi volse in dura selce; et cosi scossa
voce rimasi de l'antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.
Spirto doglioso errante (mi rimembra)
per spelunche deserte et pellegrine,
piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra,
credo per piu dolore ivi sentire.
I' segui' tanto avanti il mio desire
ch'un di cacciando si com'io solea
mi mossi; e quella fera bella et cruda
in una fonte ignuda
si stava, quando 'l sol piu forte ardea.
Io, perche d'altra vista non m'appago,
stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l'acqua nel viso co le man' mi sparse.
Vero diro (forse e' parra menzogna)
ch'i' senti' trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.
Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro
che poi discese in pretiosa pioggia,
si che 'l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,
et fui l'uccel che piu per l'aere poggia,
alzando lei che ne' miei detti honoro:
ne per nova figura il primo alloro
seppi lassar, che pur la sua dolce ombra
ogni men bel piacer del cor mi sgombra.
Se l'onorata fronde che prescrive
l'ira del ciel, quando 'l gran Giove tona,
non m'avesse disdetta la corona
che suole ornar chi poetando scrive,
i'era amico a queste vostre dive
le qua' vilmente il secolo abandona;
ma quella ingiuria gia lunge mi sprona
da l'inventrice de le prime olive:
che non bolle la polver d'Ethiopia
sotto 'l piu ardente sol, com'io sfavillo,
perdendo tanto amata cosa propia.
Cercate dunque fonte piu tranquillo,
che 'l mio d'ogni liquor sostene inopia,
salvo di quel che lagrimando stillo.
Amor piangeva, et io con lui talvolta,
dal qual miei passi non fur mai lontani,
mirando per gli effecti acerbi et strani
l'anima vostra dei suoi nodi sciolta.
Or ch'al dritto camin l'a Dio rivolta,
col cor levando al cielo ambe le mani
ringratio lui che' giusti preghi humani
benignamente, sua mercede, ascolta.
Et se tornando a l'amorosa vita,
per farvi al bel desio volger le spalle,
trovaste per la via fossati o poggi,
fu per mostrar quanto e spinoso calle,
et quanto alpestra et dura la salita,
onde al vero valor conven ch'uom poggi.
Piu di me lieta non si vede a terra
nave da l'onde combattuta et vinta,
quando la gente di pieta depinta
su per la riva a ringratiar s'atterra;
ne lieto piu del carcer si diserra
chi 'ntorno al collo ebbe la corda avinta,
di me, veggendo quella spada scinta
che fece al segnor mio si lunga guerra.
Et tutti voi ch'Amor laudate in rima,
al buon testor de gli amorosi detti
rendete honor, ch'era smarrito in prima:
che piu gloria e nel regno degli electi
d'un spirito converso, et piu s'estima,
che di novantanove altri perfecti.
Il successor di Carlo, che la chioma
co la corona del suo antiquo adorna,
prese a gia l'arme per fiacchar le corna
a Babilonia, et chi da lei si noma;
e 'l vicario de Cristo colla soma
de le chiavi et del manto al nido torna,
si che s'altro accidente nol distorna,
vedra Bologna, et poi la nobil Roma.
La mansueta vostra et gentil agna
abbatte i fieri lupi: et cosi vada
chiunque amor legitimo scompagna.
Consolate lei dunque ch'anchor bada,
et Roma che del suo sposo si lagna,
et per Jesu cingete ormai la spada.
O aspectata in ciel beata et bella
anima che di nostra humanitade
vestita vai, non come l'altre carca:
perche ti sian men dure omai le strade,
a Dio dilecta, obediente ancella,
onde al suo regno di qua giu si varca,
ecco novellamente a la tua barca,
ch'al cieco mondo ha gia volte le spalle
per gir al miglior porto,
d'un vento occidental dolce conforto;
lo qual per mezzo questa oscura valle,
ove piangiamo il nostro et l'altrui torto,
la condurra de' lacci antichi sciolta,
per drittissimo calle,
al verace oriente ov'ella e volta.
Forse i devoti et gli amorosi preghi
et le lagrime sancte de' mortali
son giunte inanzi a la pieta superna;
et forse non fur mai tante ne tali
che per merito lor punto si pieghi
fuor de suo corso la giustitia eterna;
ma quel benigno re che 'l ciel governa
al sacro loco ove fo posto in croce
gli occhi per gratia gira,
onde nel petto al novo Karlo spira
la vendetta ch'a noi tardata noce,
si che molt'anni Europa ne sospira:
cosi soccorre a la sua amata sposa
tal che sol de la voce
fa tremar Babilonia, et star pensosa.
Chiunque alberga tra Garona e 'l monte
e 'ntra 'l Rodano e 'l Reno et l'onde salse
le 'nsegne cristianissime accompagna;
et a cui mai di vero pregio calse,
del Pireneo a l'ultimo orizonte
con Aragon lassara vota Hispagna;
Inghilterra con l'isole che bagna
l'Occeano intra 'l Carro et le Colonne,
infin la dove sona
doctrina del sanctissimo Elicona,
varie di lingue et d'arme, et de le gonne,
a l'alta impresa caritate sprona.
Deh qual amor si licito o si degno,
qua' figli mai, qua' donne
furon materia a si giusto disdegno?
Una parte del mondo e che si giace
mai sempre in ghiaccio et in gelate nevi
tutta lontana dal camin del sole:
la sotto i giorni nubilosi et brevi,
nemica naturalmente di pace,
nasce una gente a cui il morir non dole.
Questa se, piu devota che non sole,
col tedesco furor la spada cigne,
turchi, arabi et caldei,
con tutti quei che speran nelli dei
di qua dal mar che fa l'onde sanguigne,
quanto sian da prezzar, conoscer dei:
popolo ignudo paventoso et lento,
che ferro mai non strigne,
ma tutt'i colpi suoi commette al vento.
Dunque ora e 'l tempo da ritrare il collo
dal giogo antico, et da squarciare il velo
ch'e stato avolto intorno agli occhi nostri,
et che 'l nobile ingegno che dal cielo
per gratia tien' de l'immortale Apollo,
et l'eloquentia sua vertu qui mostri
or con la lingua, or co'laudati incostri:
perche d'Orpheo leggendo et d'Amphione
se non ti meravigli,
assai men fia ch'Italia co' suoi figli
si desti al suon del tuo chiaro sermone,
tanto che per Jesu la lancia pigli;
che s'al ver mira questa anticha madre,
in nulla sua tentione
fur mai cagion si belle o si leggiadre.
Tu ch'ai, per arricchir d'un bel thesauro,
volte le antiche et le moderne carte,
volando al ciel colla terrena soma,
sai da l'imperio del figliuol de Marte
al grande Augusto che di verde lauro
tre volte triumphando orno la chioma,
ne l'altrui ingiurie del suo sangue Roma
spesse fiate quanto fu cortese:
et or perche non fia
cortese no, ma conoscente et pia
a vendicar le dispietate offese,
col figliuol glorioso di Maria?
Che dunque la nemica parte spera
ne l'umane difese,
se Cristo sta da la contraria schiera?
Pon' mente al temerario ardir di Xerse,
che fece per calcare i nostri liti
di novi ponti oltraggio a la marina;
et vedrai ne la morte de' mariti
tutte vestite a brun le donne perse,
et tinto in rosso il mar di Salamina.
Et non pur questa misera ruina
del popol infelice d'oriente
victoria t'empromette,
ma Marathona, et le mortali strette
che difese il leon con poca gente,
et altre mille ch'ai ascoltate et lette:
Perche inchinare a Dio molto convene
le ginocchia et la mente,
che gli anni tuoi riserva a tanto bene.
Tu vedrai Italia et l'onorata riva,
canzon, ch'agli occhi miei cela et contende
non mar, non poggio o fiume,
ma solo Amor che del suo altero lume
piu m'invaghisce dove piu m'incende:
ne Natura puo star contra'l costume.
Or movi, non smarrir l'altre compagne,
che non pur sotto bende
alberga Amor, per cui si ride et piagne.
Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi
non vesti donna unquancho
ne d'or capelli in bionda treccia attorse,
si bella com'e questa che mi spoglia
d'arbitrio, et dal camin de libertade
seco mi tira, si ch'io non sostegno
alcun giogo men grave.
Et se pur s'arma talor a dolersi
l'anima a cui vien mancho
consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse,
rappella lei da la sfrenata voglia
subita vista, che del cor mi rade
ogni delira impresa, et ogni sdegno
fa 'l veder lei soave.
Di quanto per Amor gia mai soffersi,
et aggio a soffrir ancho,
fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse,
rubella di merce, che pur l'envoglia,
vendetta fia, sol che contra Humiltade
Orgoglio et Ira il bel passo ond'io vegno
non chiuda et non inchiave.
Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
nel bel nero et nel biancho
che mi scacciar di la dove Amor corse,
novella d'esta vita che m' addoglia
furon radice, et quella in cui l'etade
nostra si mira, la qual piombo o legno
vedendo e chi non pave.
Lagrima dunque che da gli occhi versi
per quelle, che nel mancho
lato mi bagna chi primier s'accorse,
quadrella, dal voler mio non mi svoglia,
che 'n giusta parte la sententia cade:
per lei sospira l'alma, et ella e degno
che le sue piaghe lave.
Da me son fatti i miei pensier' diversi:
tal gia, qual io mi stancho,
l'amata spada in se stessa contorse;
ne quella prego che pero mi scioglia,
che men son dritte al ciel tutt'altre strade
et non s'aspira al glorioso regno
certo in piu salda nave.
Benigne stelle che compagne fersi
al fortunato fianco
quando 'l bel parto giu nel mondo scorse!
ch'e stella in terra, et come in lauro foglia
conserva verde il pregio d'onestade,
ove non spira folgore, ne indegno
vento mai che l'aggrave.
So io ben ch'a voler chiuder in versi
suo laudi, fora stancho
chi piu degna la mano a scriver porse:
qual cella e di memoria in cui s'accoglia
quanta vede vertu, quanta beltade,
chi gli occhi mira d'ogni valor segno,
dolce del mio cor chiave?
Quando il sol gira, Amor piu caro pegno,
donna, di voi non ave.
Giovene donna sotto un verde lauro
vidi piu biancha et piu fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt'anni;
e 'l suo parlare, e 'l bel viso, et le chiome
mi piacquen si ch'i' l'o dinanzi agli occhi,
ed avro sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva.
Allor saranno i miei pensier a riva
che foglia verde non si trovi in lauro;
quando avro queto il core, asciutti gli occhi,
vedrem ghiacciare il foco, arder la neve:
non o tanti capelli in queste chiome
quanti vorrei quel giorno attender anni.
Ma perche vola il tempo, et fuggon gli anni,
si ch'a la morte in un punto s'arriva,
o colle brune o colle bianche chiome,
seguiro l'ombra di quel dolce lauro
per lo piu ardente sole et per la neve,
fin che l'ultimo di chiuda quest'occhi.
Non fur gia mai veduti si begli occhi
o ne la nostra etade o ne' prim'anni,
che mi struggon cosi come 'l sol neve;
onde procede lagrimosa riva
ch'Amor conduce a pie' del duro lauro
ch'a i rami di diamante, et d'or le chiome.
I' temo di cangiar pria volto et chiome
che con vera pieta mi mostri gli occhi
l'idolo mio, scolpito in vivo lauro:
che s'al contar non erro, oggi a sett'anni
che sospirando vo di riva in riva
la notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve.
Dentro pur foco, et for candida neve,
sol con questi pensier', con altre chiome,
sempre piangendo andro per ogni riva,
per far forse pieta venir negli occhi
di tal che nascera dopo mill'anni,
se tanto viver po ben colto lauro.
L'auro e i topacii al sol sopra la neve
vincon le bionde chiome presso agli occhi
che menan gli anni miei si tosto a riva.
Questa anima gentil che si diparte,
anzi tempo chiamata a l'altra vita,
se lassuso e quanto esser de gradita,
terra del ciel la piu beata parte.
S'ella riman fra 'l terzo lume et Marte,
fia la vista del sole scolorita,
poi ch'a mirar sua bellezza infinita
l'anime degne intorno a lei fien sparte.
Se si posasse sotto al quarto nido,
ciascuna de le tre saria men bella,
et essa sola avria la fama e 'l grido;
nel quinto giro non habitrebbe ella;
ma se vola piu alto, assai mi fido
che con Giove sia vinta ogni altra stella.
Quanto piu m'avicino al giorno extremo
che l'umana miseria suol far breve,
piu veggio il tempo andar veloce et leve,
e 'l mio di lui sperar fallace et scemo.
I' dico a' miei pensier': Non molto andremo
d'amor parlando omai, che 'l duro et greve
terreno incarco come frescha neve
si va struggendo; onde noi pace avremo:
perche co llui cadra quella speranza
che ne fe' vaneggiar si lungamente,
e 'l riso e 'l pianto, et la paura et l'ira;
si vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s'avanza,
et come spesso indarno si sospira.
Gia fiammeggiava l'amorosa stella
per l'oriente, et l'altra che Giunone
suol far gelosa nel septentrione,
rotava i raggi suoi lucente et bella;
levata era a filar la vecchiarella,
discinta et scalza, et desto avea 'l carbone,
et gli amanti pungea quella stagione
che per usanza a lagrimar gli appella:
quando mia speme gia condutta al verde
giunse nel cor, non per l'usata via,
che 'l sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle;
quanto cangiata, oime, da quel di pria!
Et parea dir: Perche tuo valor perde?
Veder quest'occhi anchor non ti si tolle.
Apollo, s'anchor vive il bel desio
che t'infiammava a le thesaliche onde,
et se non ai l'amate chiome bionde,
volgendo gli anni, gia poste in oblio:
dal pigro gielo et dal tempo aspro et rio,
che dura quanto 'l tuo viso s'asconde,
difendi or l'onorata et sacra fronde,
ove tu prima, et poi fu' invescato io;
et per vertu de l'amorosa speme,
che ti sostenne ne la vita acerba,
di queste impression l'aere disgombra;
si vedrem poi per meraviglia inseme
seder la donna nostra sopra l'erba,
et far de le sue braccia a se stessa ombra.
Solo et pensoso i piu d eserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perche negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:
si ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'e celata altrui.
Ma pur si aspre vie ne si selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.
S'io credesse per morte essere scarco
del pensiero amoroso che m'atterra,
colle mie mani avrei gia posto in terra
queste mie membra noiose, et quello incarco;
ma perch'io temo che sarrebbe un varco
di pianto in pianto, et d'una in altra guerra,
di qua dal passo anchor che mi si serra
mezzo rimango, lasso, et mezzo il varco.
Tempo ben fora omai d'avere spinto
l'ultimo stral la dispietata corda
ne l'altrui sangue gia bagnato et tinto;
et io ne prego Amore, et quella sorda
che mi lasso de' suoi color' depinto,
et di chiamarmi a se non le ricorda.
Si e debile il filo a cui s'attene
la gravosa mia vita
che, s'altri non l'aita,
ella fia tosto di suo corso a riva;
pero che dopo l'empia dipartita
che dal dolce mio bene
feci, sol una spene
e stato infin a qui cagion ch'io viva,
dicendo: Perche priva
sia de l'amata vista,
mantienti, anima trista;
che sai s'a miglior tempo ancho ritorni
et a piu lieti giorni,
o se 'l perduto ben mai si racquista?
Questa speranza mi sostenne un tempo:
or vien mancando, et troppo in lei m'attempo.
Il tempo passa, et l'ore son si pronte
a fornire il viaggio,
ch'assai spacio non aggio
pur a pensar com'io corro a la morte:
a pena spunta in oriente un raggio
di sol, ch'a l'altro monte
de l'adverso orizonte
giunto il vedrai per vie lunghe et distorte.
Le vite son si corte,
si gravi i corpi et frali
degli uomini mortali,
che quando io mi ritrovo dal bel viso
cotanto esser diviso,
col desio non possendo mover l'ali,
poco m'avanza del conforto usato,
ne so quant'io mi viva in questo stato.
Ogni loco m'atrista ov'io non veggio
quei begli occhi soavi
che portaron le chiavi
de' miei dolci pensier', mentre a Dio piacque;
et perche 'l duro exilio piu m'aggravi,
s'io dormo o vado o seggio,
altro gia mai non cheggio,
et cio ch'i' vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne et acque,
quanto mar, quanti fiumi
m'ascondon que' duo lumi,
che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
fer le tenebre mie,
a cio che 'l rimembrar piu mi consumi,
et quanto era mia vita allor gioiosa
m'insegni la presente aspra et noiosa!
Lasso, se ragionando si rinfresca
quel' ardente desio
che nacque il giorno ch'io
lassai di me la miglior parte a dietro,
et s'Amor se ne va per lungo oblio,
chi mi conduce a l'esca,
onde 'l mio dolor cresca?
Et perche pria tacendo non m'impetro?
Certo cristallo o vetro
non mostro mai di fore
nascosto altro colore,
che l'alma sconsolata assai non mostri
piu chiari i pensier' nostri,
et la fera dolcezza ch'e nel core,
per gli occhi che di sempre pianger vaghi
cercan di et nocte pur chi glien'appaghi.
Novo piacer che ne gli umani ingegni
spesse volte si trova,
d'amar qual cosa nova
piu folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son un di quei che 'l pianger giova;
et par ben ch'io m'ingegni
che di lagrime pregni
sien gli occhi miei si come 'l cor di doglia;
et perche a ccio m'invoglia
ragionar de' begli occhi,
ne cosa e che mi tocchi
o sentir mi si faccia cosi a dentro,
corro spesso, et rientro,
cola donde piu largo il duol trabocchi,
et sien col cor punite ambe le luci,
ch'a la strada d'Amor mi furon duci.
Le treccie d'or che devrien fare il sole
d'invidia molta ir pieno,
e 'l bel guardo sereno,
ove i raggi d'Amor si caldi sono
che mi fanno anzi tempo venir meno,
et l'accorte parole,
rade nel mondo o sole,
che mi fer gia di se cortese dono,
mi son tolte; et perdono
piu lieve ogni altra offesa,
che l'essermi contesa
quella benigna angelica salute
che 'l mio cor a vertute
destar solea con una voglia accesa:
tal ch'io non penso udir cosa gia mai
che mi conforte ad altro ch'a trar guai.
Et per pianger anchor con piu diletto,
le man' bianche sottili
et le braccia gentili,
et gli atti suoi soavemente alteri,
e i dolci sdegni alteramente humili,
e 'l bel giovenil petto,
torre d'alto intellecto,
mi celan questi luoghi alpestri et feri;
et non so s'io mi speri
vederla anzi ch'io mora:
pero ch'ad ora ad ora
s'erge la speme, et poi non sa star ferma,
ma ricadendo afferma
di mai non veder lei che 'l ciel honora,
ov'alberga Honestade et Cortesia,
et dov'io prego che 'l mio albergo sia.
Canzon, s'al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch'ella ti porgera la bella mano,
ond'io son si lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di' ch'io saro la tosto ch'io possa,
o spirto ignudo od uom di carne et d'ossa.
Orso, e' non furon mai fiumi ne stagni,
ne mare, ov'ogni rivo si disgombra,
ne di muro o di poggio o di ramo ombra,
ne nebbia che 'l ciel copra e 'l mondo bagni,
ne altro impedimento, ond'io mi lagni,
qualunque piu l'umana vista ingombra,
quanto d'un vel che due begli occhi adombra,
et par che dica: Or ti consuma et piagni.
Et quel lor inchinar ch'ogni mia gioia
spegne o per humiltate o per argoglio,
cagion sara che 'nanzi tempo i' moia.
Et d'una bianca mano ancho mi doglio,
ch'e stata sempre accorta a farmi noia,
et contra gli occhi miei s'e fatta scoglio.
Io temo si de' begli occhi l'assalto
ne' quali Amore et la mia morte alberga,
ch'i' fuggo lor come fanciul la verga,
et gran tempo e ch'i' presi il primier salto.
Da ora inanzi faticoso od alto
loco non fia, dove 'l voler non s'erga
per no scontrar chi miei sensi disperga
lassando come suol me freddo smalto.
Dunque s'a veder voi tardo mi volsi
per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
fallir forse non fu di scusa indegno.
Piu dico, che 'l tornare a quel ch'uom fugge,
e 'l cor che di paura tanta sciolsi,
fur de la mia fede non leggier pegno.
S'Amore o Morte non da qualche stroppio
a la tela novella ch'ora ordisco,
et s'io mi svolvo dal tenace visco,
mentre che l'un coll'altro vero accoppio,
i' faro forse un mio lavor si doppio
tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco,
che, paventosamente a dirlo ardisco,
infin a Roma n'udirai lo scoppio.
Ma pero che mi mancha a fornir l'opra
alquanto de le fila benedette
ch'avanzaro a quel mio dilecto padre,
perche tien' verso me le man' si strette,
contra tua usanza? I' prego che tu l'opra,
e vedrai riuscir cose leggiadre.
Quando dal proprio sito si rimove
l'arbor ch'amo gia Phebo in corpo humano,
sospira et suda a l'opera Vulcano,
per rinfrescar l'aspre saette a Giove:
il qual or tona, or nevicha et or piove,
senza honorar piu Cesare che Giano;
la terra piange, e 'l sol ci sta lontano,
che la sua cara amica ved'altrove.
Allor riprende ardir Saturno et Marte,
crudeli stelle, et Orione armato
spezza a' tristi nocchier' governi et sarte;
Eolo a Neptuno et a Giunon turbato
fa sentire, et a noi, come si parte
il bel viso dagli angeli aspectato.
Ma poi che 'l dolce riso humile et piano
piu non asconde sue bellezze nove,
le braccia a la fucina indarno move
l'antiquissimo fabbro ciciliano,
ch'a Giove tolte son l'arme di mano
temprate in Mongibello a tutte prove,
et sua sorella par che si rinove
nel bel guardo d'Apollo a mano a mano.
Del lito occidental si move un fiato,
che fa securo il navigar senza arte,
et desta i fior' tra l'erba in ciascun prato.
Stelle noiose fuggon d'ogni parte,
disperse dal bel viso inamorato,
per cui lagrime molte son gia sparte.
Il figliuol di Latona avea gia nove
volte guardato dal balcon sovrano,
per quella ch'alcun tempo mosse invano
i suoi sospiri, et or gli altrui commove.
Poi che cercando stanco non seppe ove
s'albergasse, da presso o di lontano,
mostrossi a noi qual huom per doglia insano,
che molto amata cosa non ritrove.
Et cosi tristo standosi in disparte,
tornar non vide il viso, che laudato
sara s'io vivo in piu di mille carte;
et pieta lui medesmo avea cangiato,
si che' begli occhi lagrimavan parte:
pero l'aere ritenne il primo stato.
Que'che 'n Tesaglia ebbe le man' si pronte
a farla del civil sangue vermiglia,
pianse morto il marito di sua figlia,
raffigurato a le fatezze conte;
Origin: Francesco Petrarca "Canzoniere"
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Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,
del vario stile in ch'io piango et ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pieta, nonche perdono.
Ma ben veggio or si come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna e 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo e breve sogno.
Per fare una leggiadra sua vendetta
et punire in un di ben mille offese,
celatamente Amor l'arco riprese,
come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta.
Era la mia virtute al cor ristretta
per far ivi et ne gli occhi sue difese,
quando 'l colpo mortal la giu discese
ove solea spuntarsi ogni saetta.
Pero, turbata nel primiero assalto,
non ebbe tanto ne vigor ne spazio
che potesse al bisogno prender l'arme,
overo al poggio faticoso et alto
ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, et non po, aitarme.
Era il giorno ch'al sol si scoloraro
per la pieta del suo factore i rai,
quando i' fui preso, et non me ne guardai,
che i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
contra colpi d'Amor: pero m'andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,
che di lagrime son fatti uscio et varco:
pero al mio parer non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco.
Que' ch'infinita providentia et arte
mostro nel suo mirabil magistero,
che crio questo et quell'altro hemispero,
et mansueto piu Giove che Marte,
vegnendo in terra a 'lluminar le carte
ch'avean molt'anni gia celato il vero,
tolse Giovanni da la rete et Piero,
et nel regno del ciel fece lor parte.
Di se nascendo a Roma non fe' gratia,
a Giudea si, tanto sovr'ogni stato
humiltate exaltar sempre gli piacque;
ed or di picciol borgo un sol n'a dato,
tal che natura e 'l luogo si ringratia
onde si bella donna al mondo nacque.
Quando io movo i sospiri a chiamar voi,
e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
il suon de' primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal, che 'ncontro poi,
raddoppia a l'alta impresa il mio valore;
ma: TAci, grida il fin, che farle honore
e d'altri homeri soma che da' tuoi.
Cosi LAUdare et REverire insegna
la voce stessa, pur ch'altri vi chiami,
o d'ogni reverenza et d'onor degna:
se non che forse Apollo si disdegna
ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
lingua mortal presumptuosa vegna.
Si traviato e 'l folle mi' desio
a seguitar costei che 'n fuga e volta,
et de' lacci d'Amor leggiera et sciolta
vola dinanzi al lento correr mio,
che quanto richiamando piu l'envio
per la secura strada, men m'ascolta:
ne mi vale spronarlo, o dargli volta,
ch'Amor per sua natura il fa restio.
Et poi che 'l fren per forza a se raccoglie,
i' mi rimango in signoria di lui,
che mal mio grado a morte mi trasporta:
sol per venir al lauro onde si coglie
acerbo frutto, che le piaghe altrui
gustando afflige piu che non conforta.
La gola e 'l sonno et l'otiose piume
anno del mondo ogni vertu sbandita,
ond'e dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;
et e si spento ogni benigno lume
del ciel, per cui s'informa humana vita,
che per cosa mirabile s'addita
chi vol far d'Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?
Povera et nuda vai philosophia,
dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l'altra via:
tanto ti prego piu, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.
A pie' de' colli ove la bella vesta
prese de le terrene membra pria
la donna che colui ch'a te ne 'nvia
spesso dal somno lagrimando desta,
libere in pace passavam per questa
vita mortal, ch'ogni animal desia,
senza sospetto di trovar fra via
cosa ch'al nostr'andar fosse molesta.
Ma del misero stato ove noi semo
condotte da la vita altra serena
un sol conforto, et de la morte, avemo:
che vendetta e di lui ch'a cio ne mena,
lo qual in forza altrui presso a l'extremo
riman legato con maggior catena.
Quando 'l pianeta che distingue l'ore
ad albergar col Tauro si ritorna,
cade vertu da l'infiammate corna
che veste il mondo di novel colore;
et non pur quel che s'apre a noi di fore,
le rive e i colli, di fioretti adorna,
ma dentro dove gia mai non s'aggiorna
gravido fa di se il terrestro humore,
onde tal fructo et simile si colga:
cosi costei, ch'e tra le donne un sole,
in me movendo de' begli occhi i rai
cria d'amor penseri, atti et parole;
ma come ch'ella gli governi o volga,
primavera per me pur non e mai.
Gloriosa columna in cui s'appoggia
nostra speranza e 'l gran nome latino,
ch'ancor non torse del vero camino
l'ira di Giove per ventosa pioggia,
qui non palazzi, non theatro o loggia,
ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino
tra l'erba verde e 'l bel monte vicino,
onde si scende poetando et poggia,
levan di terra al ciel nostr'intellecto;
e 'l rosigniuol che dolcemente all'ombra
tutte le notti si lamenta et piagne,
d'amorosi penseri il cor ne 'ngombra:
ma tanto bel sol tronchi, et fai imperfecto,
tu che da noi, signor mio, ti scompagne.
Lassare il velo o per sole o per ombra,
donna, non vi vid'io
poi che in me conosceste il gran desio
ch'ogni altra voglia d'entr'al cor mi sgombra.
Mentr'io portava i be' pensier' celati,
ch'anno la mente desiando morta,
vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch'Amor di me vi fece accorta,
fuor i biondi capelli allor velati,
et l'amoroso sguardo in se raccolto.
Quel ch'i' piu desiava in voi m'e tolto:
si mi governa il velo
che per mia morte, et al caldo et al gielo,
de' be' vostr'occhi il dolce lume adombra.
Se la mia vita da l'aspro tormento
si puo tanto schermire, et dagli affanni,
ch'i' veggia per vertu de gli ultimi anni,
donna, de' be' vostr'occhi il lume spento,
e i cape' d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e 'l viso scolorir che ne' miei danni
a llamentar mi fa pauroso et lento:
pur mi dara tanta baldanza Amore
ch'i' vi discovriro de' mei martiri
qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore;
et se 'l tempo e contrario ai be' desiri,
non fia ch'almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.
Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna e men bella di lei
tanto cresce 'l desio che m'innamora.
I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora
che si alto miraron gli occhi mei,
et dico: Anima, assai ringratiar dei
che fosti a tanto honor degnata allora.
Da lei ti ven l'amoroso pensero,
che mentre 'l segui al sommo ben t'invia,
pocho prezando quel ch'ogni huom desia;
da lei vien l'animosa leggiadria
ch'al ciel ti scorge per destro sentero,
si ch'i' vo gia de la speranza altero.
Occhi miei lassi, mentre ch'io vi giro
nel bel viso di quella che v'a morti,
pregovi siate accorti,
che gia vi sfida Amore, ond'io sospiro.
Morte po chiuder sola a' miei penseri
l'amoroso camin che gli conduce
al dolce porto de la lor salute;
ma puossi a voi celar la vostra luce
per meno obgetto, perche meno interi
siete formati, et di minor virtute.
Pero, dolenti, anzi che sian venute
l'ore del pianto, che son gia vicine,
prendete or a la fine
breve conforto a si lungo martiro.
Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
col corpo stancho ch'a gran pena porto,
et prendo allor del vostr'aere conforto
che 'l fa gir oltra dicendo: Oime lasso!
Poi ripensando al dolce ben ch'io lasso,
al camin lungo et al mio viver corto,
fermo le piante sbigottito et smorto,
et gli occhi in terra lagrimando abasso.
Talor m'assale in mezzo a'tristi pianti
un dubbio: come posson queste membra
da lo spirito lor viver lontane?
Ma rispondemi Amor: Non ti rimembra
che questo e privilegio degli amanti,
sciolti da tutte qualitati humane?
Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov'a sua eta fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;
indi trahendo poi l'antiquo fianco
per l'extreme giornate di sua vita,
quanto piu po, col buon voler s'aita,
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;
et viene a Roma, seguendo 'l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch'ancor lassu nel ciel vedere spera:
cosi, lasso, talor vo cerchand'io,
donna, quanto e possibile, in altrui
la disiata vostra forma vera.
Piovonmi amare lagrime dal viso
con un vento angoscioso di sospiri,
quando in voi adiven che gli occhi giri
per cui sola dal mondo i' son diviso.
Vero e che 'l dolce mansueto riso
pur acqueta gli ardenti miei desiri,
et mi sottragge al foco de' martiri,
mentr'io son a mirarvi intento et fiso.
Ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi
ch'i' veggio al departir gli atti soavi
torcer da me le mie fatali stelle.
Largata alfin co l'amorose chiavi
l'anima esce del cor per seguir voi;
et con molto pensiero indi si svelle.
Quand'io son tutto volto in quella parte
ove 'l bel viso di madonna luce,
et m'e rimasa nel pensier la luce
che m'arde et strugge dentro a parte a parte,
i' che temo del cor che mi si parte,
et veggio presso il fin de la mia luce,
vommene in guisa d'orbo, senza luce,
che non sa ove si vada et pur si parte.
Cosi davanti ai colpi de la morte
fuggo: ma non si ratto che 'l desio
meco non venga come venir sole.
Tacito vo, che le parole morte
farian pianger la gente; et i' desio
che le lagrime mie si spargan sole.
Son animali al mondo de si altera
vista che 'ncontra 'l sol pur si difende;
altri, pero che 'l gran lume gli offende,
non escon fuor se non verso la sera;
et altri, col desio folle che spera
gioir forse nel foco, perche splende,
provan l'altra vertu, quella che 'encende:
lasso, e 'l mio loco e 'n questa ultima schera.
Ch'i' non son forte ad aspectar la luce
di questa donna, et non so fare schermi
di luoghi tenebrosi, o d' ore tarde:
pero con gli occhi lagrimosi e 'nfermi
mio destino a vederla mi conduce;
et so ben ch'i' vo dietro a quel che m'arde.
Vergognando talor ch'ancor si taccia,
donna, per me vostra bellezza in rima,
ricorro al tempo ch'i' vi vidi prima,
tal che null'altra fia mai che mi piaccia.
Ma trovo peso non da le mie braccia,
ne ovra da polir colla mia lima:
pero l'ingegno che sua forza extima
ne l'operation tutto s'agghiaccia.
Piu volte gia per dir le labbra apersi,
poi rimase la voce in mezzo 'l pecto:
ma qual son poria mai salir tant'alto?
Piu volte incominciai di scriver versi:
ma la penna et la mano et l'intellecto
rimaser vinti nel primier assalto.
Mille fiate, o dolce mia guerrera,
per aver co' begli occhi vostri pace
v'aggio proferto il cor; ma voi non piace
mirar si basso colla mente altera.
Et se di lui fors'altra donna spera,
vive in speranza debile et fallace:
mio, perche sdegno cio ch'a voi dispiace,
esser non puo gia mai cosi com'era.
Or s'io lo scaccio, et e' non trova in voi
ne l'exilio infelice alcun soccorso,
ne sa star sol, ne gire ov'altri il chiama,
poria smarrire il suo natural corso:
che grave colpa fia d'ambeduo noi,
et tanto piu de voi, quanto piu v'ama.
A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch'anno in odio il sole,
tempo da travagliare e quanto e 'l giorno;
ma poi che 'l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s'anida in selva
per aver posa almeno infin a l'alba.
Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l'ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non o mai triegua di sospir' col sole;
pur quand'io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disiando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle,
che m'anno facto di sensibil terra;
et maledico il di ch'i' vidi 'l sole,
e che mi fa in vista un huom nudrito in selva.
Non credo che pascesse mai per selva
si aspra fera, o di nocte o di giorno,
come costei ch'i 'piango a l'ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
che, bench'i' sia mortal corpo di terra,
lo mi fermo desir vien da le stelle.
Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,
o torni giu ne l'amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess'io in lei pieta, che 'n un sol giorno
puo ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba
puommi arichir dal tramontar del sole.
Con lei foss'io da che si parte il sole,
et non ci vedess'altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l'alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch'Apollo la seguia qua giu per terra.
Ma io saro sotterra in secca selva
e 'l giorno andra pien di minute stelle
prima ch'a si dolce alba arrivi il sole.
Nel dolce tempo de la prima etade,
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perche cantando il duol si disacerba,
cantero com'io vissi in libertade,
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.
Poi seguiro si come a lui ne 'ncrebbe
troppo altamente, e che di cio m'avvenne,
di ch'io son facto a molta gente exempio:
benche 'l mio duro scempio
sia scripto altrove, si che mille penne
ne son gia stanche, et quasi in ogni valle
rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
ch'aquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita
come suol fare, iscusilla i martiri,
et un penser che solo angoscia dalle,
tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
e mi face obliar me stesso a forza:
che ten di me quel d'entro, et io la scorza.
I' dico che dal di che 'l primo assalto
mi diede Amor, molt'anni eran passati,
si ch'io cangiava il giovenil aspetto;
e d'intorno al mio cor pensier' gelati
facto avean quasi adamantino smalto
ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima anchor non mi bagnava il petto
ne rompea il sonno, et quel che in me non era,
mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!
La vita el fin, e 'l di loda la sera.
Che sentendo il crudel di ch'io ragiono
infin allor percossa di suo strale
non essermi passato oltra la gonna,
prese in sua scorta una possente donna,
ver' cui poco gia mai mi valse o vale
ingegno, o forza, o dimandar perdono;
e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
facendomi d'uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec'io quando primier m'accorsi
de la trasfigurata mia persona,
e i capei vidi far di quella fronde
di che sperato avea gia lor corona,
e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,
com'ogni membro a l'anima risponde,
diventar due radici sovra l'onde
non di Peneo, ma d'un piu altero fiume,
e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!
Ne meno anchor m' agghiaccia
l'esser coverto poi di bianche piume
allor che folminato et morto giacque
il mio sperar che tropp'alto montava:
che perch'io non sapea dove ne quando
me 'l ritrovasse, solo lagrimando
la 've tolto mi fu, di e nocte andava,
ricercando dallato, et dentro a l'acque;
et gia mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond'io presi col suon color d'un cigno.
Cosi lungo l'amate rive andai,
che volendo parlar, cantava sempre
merce chiamando con estrania voce;
ne mai in si dolci o in si soavi tempre
risonar seppi gli amorosi guai,
che 'l cor s'umiliasse aspro et feroce.
Qual fu a sentir? che 'l ricordar mi coce:
ma molto piu di quel, che per inanzi
de la dolce et acerba mia nemica
e bisogno ch'io dica,
benche sia tal ch'ogni parlare avanzi.
Questa che col mirar gli animi fura,
m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
dicendo a me: Di cio non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,
tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi 'l ver pien di paura;
ed ella ne l'usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oime lasso,
d'un quasi vivo et sbigottito sasso.
Ella parlava si turbata in vista,
che tremar mi fea dentro a quella petra,
udendo: I' non son forse chi tu credi.
E dicea meco: Se costei mi spetra,
nulla vita mi fia noiosa o trista;
a farmi lagrimar, signor mio, riedi.
Come non so: pur io mossi indi i piedi,
non altrui incolpando che me stesso,
mezzo tutto quel di tra vivo et morto.
Ma perche 'l tempo e corto,
la penna al buon voler non po gir presso:
onde piu cose ne la mente scritte
vo trapassando, et sol d'alcune parlo
che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al cor avolta,
ne tacendo potea di sua man trarlo,
o dar soccorso a le vertuti afflitte;
le vive voci m'erano interditte;
ond'io gridai con carta et con incostro:
Non son mio, no. S'io moro, il danno e vostro.
Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
d'indegno far cosi di merce degno,
et questa spene m'avea fatto ardito:
ma talora humilta spegne disdegno,
talor l'enfiamma; et cio sepp'io da poi,
lunga stagion di tenebre vestito:
ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
ombra di lei, ne pur de' suoi piedi orma,
come huom che tra via dorma,
gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.
Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai 'l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
ne gia mai neve sotto al sol disparve
com'io senti' me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie' d'un faggio.
Gran tempo humido tenni quel viaggio.
Chi udi mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.
L'alma ch'e sol da Dio facta gentile,
che gia d'altrui non po venir tal gratia,
simile al suo factor stato ritene:
pero di perdonar mai non e sacia
a chi col core et col sembiante humile
dopo quantunque offese a merce vene.
Et se contra suo stile essa sostene
d'esser molto pregata, in Lui si specchia,
et fal perche 'l peccar piu si pavente:
che non ben si ripente
de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.
Poi che madonna da pieta commossa
degno mirarme, et ricognovve et vide
gir di pari la pena col peccato,
benigna mi redusse al primo stato.
Ma nulla a 'l mondo in ch'uom saggio si fide:
ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa
mi volse in dura selce; et cosi scossa
voce rimasi de l'antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.
Spirto doglioso errante (mi rimembra)
per spelunche deserte et pellegrine,
piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra,
credo per piu dolore ivi sentire.
I' segui' tanto avanti il mio desire
ch'un di cacciando si com'io solea
mi mossi; e quella fera bella et cruda
in una fonte ignuda
si stava, quando 'l sol piu forte ardea.
Io, perche d'altra vista non m'appago,
stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l'acqua nel viso co le man' mi sparse.
Vero diro (forse e' parra menzogna)
ch'i' senti' trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.
Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro
che poi discese in pretiosa pioggia,
si che 'l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,
et fui l'uccel che piu per l'aere poggia,
alzando lei che ne' miei detti honoro:
ne per nova figura il primo alloro
seppi lassar, che pur la sua dolce ombra
ogni men bel piacer del cor mi sgombra.
Se l'onorata fronde che prescrive
l'ira del ciel, quando 'l gran Giove tona,
non m'avesse disdetta la corona
che suole ornar chi poetando scrive,
i'era amico a queste vostre dive
le qua' vilmente il secolo abandona;
ma quella ingiuria gia lunge mi sprona
da l'inventrice de le prime olive:
che non bolle la polver d'Ethiopia
sotto 'l piu ardente sol, com'io sfavillo,
perdendo tanto amata cosa propia.
Cercate dunque fonte piu tranquillo,
che 'l mio d'ogni liquor sostene inopia,
salvo di quel che lagrimando stillo.
Amor piangeva, et io con lui talvolta,
dal qual miei passi non fur mai lontani,
mirando per gli effecti acerbi et strani
l'anima vostra dei suoi nodi sciolta.
Or ch'al dritto camin l'a Dio rivolta,
col cor levando al cielo ambe le mani
ringratio lui che' giusti preghi humani
benignamente, sua mercede, ascolta.
Et se tornando a l'amorosa vita,
per farvi al bel desio volger le spalle,
trovaste per la via fossati o poggi,
fu per mostrar quanto e spinoso calle,
et quanto alpestra et dura la salita,
onde al vero valor conven ch'uom poggi.
Piu di me lieta non si vede a terra
nave da l'onde combattuta et vinta,
quando la gente di pieta depinta
su per la riva a ringratiar s'atterra;
ne lieto piu del carcer si diserra
chi 'ntorno al collo ebbe la corda avinta,
di me, veggendo quella spada scinta
che fece al segnor mio si lunga guerra.
Et tutti voi ch'Amor laudate in rima,
al buon testor de gli amorosi detti
rendete honor, ch'era smarrito in prima:
che piu gloria e nel regno degli electi
d'un spirito converso, et piu s'estima,
che di novantanove altri perfecti.
Il successor di Carlo, che la chioma
co la corona del suo antiquo adorna,
prese a gia l'arme per fiacchar le corna
a Babilonia, et chi da lei si noma;
e 'l vicario de Cristo colla soma
de le chiavi et del manto al nido torna,
si che s'altro accidente nol distorna,
vedra Bologna, et poi la nobil Roma.
La mansueta vostra et gentil agna
abbatte i fieri lupi: et cosi vada
chiunque amor legitimo scompagna.
Consolate lei dunque ch'anchor bada,
et Roma che del suo sposo si lagna,
et per Jesu cingete ormai la spada.
O aspectata in ciel beata et bella
anima che di nostra humanitade
vestita vai, non come l'altre carca:
perche ti sian men dure omai le strade,
a Dio dilecta, obediente ancella,
onde al suo regno di qua giu si varca,
ecco novellamente a la tua barca,
ch'al cieco mondo ha gia volte le spalle
per gir al miglior porto,
d'un vento occidental dolce conforto;
lo qual per mezzo questa oscura valle,
ove piangiamo il nostro et l'altrui torto,
la condurra de' lacci antichi sciolta,
per drittissimo calle,
al verace oriente ov'ella e volta.
Forse i devoti et gli amorosi preghi
et le lagrime sancte de' mortali
son giunte inanzi a la pieta superna;
et forse non fur mai tante ne tali
che per merito lor punto si pieghi
fuor de suo corso la giustitia eterna;
ma quel benigno re che 'l ciel governa
al sacro loco ove fo posto in croce
gli occhi per gratia gira,
onde nel petto al novo Karlo spira
la vendetta ch'a noi tardata noce,
si che molt'anni Europa ne sospira:
cosi soccorre a la sua amata sposa
tal che sol de la voce
fa tremar Babilonia, et star pensosa.
Chiunque alberga tra Garona e 'l monte
e 'ntra 'l Rodano e 'l Reno et l'onde salse
le 'nsegne cristianissime accompagna;
et a cui mai di vero pregio calse,
del Pireneo a l'ultimo orizonte
con Aragon lassara vota Hispagna;
Inghilterra con l'isole che bagna
l'Occeano intra 'l Carro et le Colonne,
infin la dove sona
doctrina del sanctissimo Elicona,
varie di lingue et d'arme, et de le gonne,
a l'alta impresa caritate sprona.
Deh qual amor si licito o si degno,
qua' figli mai, qua' donne
furon materia a si giusto disdegno?
Una parte del mondo e che si giace
mai sempre in ghiaccio et in gelate nevi
tutta lontana dal camin del sole:
la sotto i giorni nubilosi et brevi,
nemica naturalmente di pace,
nasce una gente a cui il morir non dole.
Questa se, piu devota che non sole,
col tedesco furor la spada cigne,
turchi, arabi et caldei,
con tutti quei che speran nelli dei
di qua dal mar che fa l'onde sanguigne,
quanto sian da prezzar, conoscer dei:
popolo ignudo paventoso et lento,
che ferro mai non strigne,
ma tutt'i colpi suoi commette al vento.
Dunque ora e 'l tempo da ritrare il collo
dal giogo antico, et da squarciare il velo
ch'e stato avolto intorno agli occhi nostri,
et che 'l nobile ingegno che dal cielo
per gratia tien' de l'immortale Apollo,
et l'eloquentia sua vertu qui mostri
or con la lingua, or co'laudati incostri:
perche d'Orpheo leggendo et d'Amphione
se non ti meravigli,
assai men fia ch'Italia co' suoi figli
si desti al suon del tuo chiaro sermone,
tanto che per Jesu la lancia pigli;
che s'al ver mira questa anticha madre,
in nulla sua tentione
fur mai cagion si belle o si leggiadre.
Tu ch'ai, per arricchir d'un bel thesauro,
volte le antiche et le moderne carte,
volando al ciel colla terrena soma,
sai da l'imperio del figliuol de Marte
al grande Augusto che di verde lauro
tre volte triumphando orno la chioma,
ne l'altrui ingiurie del suo sangue Roma
spesse fiate quanto fu cortese:
et or perche non fia
cortese no, ma conoscente et pia
a vendicar le dispietate offese,
col figliuol glorioso di Maria?
Che dunque la nemica parte spera
ne l'umane difese,
se Cristo sta da la contraria schiera?
Pon' mente al temerario ardir di Xerse,
che fece per calcare i nostri liti
di novi ponti oltraggio a la marina;
et vedrai ne la morte de' mariti
tutte vestite a brun le donne perse,
et tinto in rosso il mar di Salamina.
Et non pur questa misera ruina
del popol infelice d'oriente
victoria t'empromette,
ma Marathona, et le mortali strette
che difese il leon con poca gente,
et altre mille ch'ai ascoltate et lette:
Perche inchinare a Dio molto convene
le ginocchia et la mente,
che gli anni tuoi riserva a tanto bene.
Tu vedrai Italia et l'onorata riva,
canzon, ch'agli occhi miei cela et contende
non mar, non poggio o fiume,
ma solo Amor che del suo altero lume
piu m'invaghisce dove piu m'incende:
ne Natura puo star contra'l costume.
Or movi, non smarrir l'altre compagne,
che non pur sotto bende
alberga Amor, per cui si ride et piagne.
Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi
non vesti donna unquancho
ne d'or capelli in bionda treccia attorse,
si bella com'e questa che mi spoglia
d'arbitrio, et dal camin de libertade
seco mi tira, si ch'io non sostegno
alcun giogo men grave.
Et se pur s'arma talor a dolersi
l'anima a cui vien mancho
consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse,
rappella lei da la sfrenata voglia
subita vista, che del cor mi rade
ogni delira impresa, et ogni sdegno
fa 'l veder lei soave.
Di quanto per Amor gia mai soffersi,
et aggio a soffrir ancho,
fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse,
rubella di merce, che pur l'envoglia,
vendetta fia, sol che contra Humiltade
Orgoglio et Ira il bel passo ond'io vegno
non chiuda et non inchiave.
Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
nel bel nero et nel biancho
che mi scacciar di la dove Amor corse,
novella d'esta vita che m' addoglia
furon radice, et quella in cui l'etade
nostra si mira, la qual piombo o legno
vedendo e chi non pave.
Lagrima dunque che da gli occhi versi
per quelle, che nel mancho
lato mi bagna chi primier s'accorse,
quadrella, dal voler mio non mi svoglia,
che 'n giusta parte la sententia cade:
per lei sospira l'alma, et ella e degno
che le sue piaghe lave.
Da me son fatti i miei pensier' diversi:
tal gia, qual io mi stancho,
l'amata spada in se stessa contorse;
ne quella prego che pero mi scioglia,
che men son dritte al ciel tutt'altre strade
et non s'aspira al glorioso regno
certo in piu salda nave.
Benigne stelle che compagne fersi
al fortunato fianco
quando 'l bel parto giu nel mondo scorse!
ch'e stella in terra, et come in lauro foglia
conserva verde il pregio d'onestade,
ove non spira folgore, ne indegno
vento mai che l'aggrave.
So io ben ch'a voler chiuder in versi
suo laudi, fora stancho
chi piu degna la mano a scriver porse:
qual cella e di memoria in cui s'accoglia
quanta vede vertu, quanta beltade,
chi gli occhi mira d'ogni valor segno,
dolce del mio cor chiave?
Quando il sol gira, Amor piu caro pegno,
donna, di voi non ave.
Giovene donna sotto un verde lauro
vidi piu biancha et piu fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt'anni;
e 'l suo parlare, e 'l bel viso, et le chiome
mi piacquen si ch'i' l'o dinanzi agli occhi,
ed avro sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva.
Allor saranno i miei pensier a riva
che foglia verde non si trovi in lauro;
quando avro queto il core, asciutti gli occhi,
vedrem ghiacciare il foco, arder la neve:
non o tanti capelli in queste chiome
quanti vorrei quel giorno attender anni.
Ma perche vola il tempo, et fuggon gli anni,
si ch'a la morte in un punto s'arriva,
o colle brune o colle bianche chiome,
seguiro l'ombra di quel dolce lauro
per lo piu ardente sole et per la neve,
fin che l'ultimo di chiuda quest'occhi.
Non fur gia mai veduti si begli occhi
o ne la nostra etade o ne' prim'anni,
che mi struggon cosi come 'l sol neve;
onde procede lagrimosa riva
ch'Amor conduce a pie' del duro lauro
ch'a i rami di diamante, et d'or le chiome.
I' temo di cangiar pria volto et chiome
che con vera pieta mi mostri gli occhi
l'idolo mio, scolpito in vivo lauro:
che s'al contar non erro, oggi a sett'anni
che sospirando vo di riva in riva
la notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve.
Dentro pur foco, et for candida neve,
sol con questi pensier', con altre chiome,
sempre piangendo andro per ogni riva,
per far forse pieta venir negli occhi
di tal che nascera dopo mill'anni,
se tanto viver po ben colto lauro.
L'auro e i topacii al sol sopra la neve
vincon le bionde chiome presso agli occhi
che menan gli anni miei si tosto a riva.
Questa anima gentil che si diparte,
anzi tempo chiamata a l'altra vita,
se lassuso e quanto esser de gradita,
terra del ciel la piu beata parte.
S'ella riman fra 'l terzo lume et Marte,
fia la vista del sole scolorita,
poi ch'a mirar sua bellezza infinita
l'anime degne intorno a lei fien sparte.
Se si posasse sotto al quarto nido,
ciascuna de le tre saria men bella,
et essa sola avria la fama e 'l grido;
nel quinto giro non habitrebbe ella;
ma se vola piu alto, assai mi fido
che con Giove sia vinta ogni altra stella.
Quanto piu m'avicino al giorno extremo
che l'umana miseria suol far breve,
piu veggio il tempo andar veloce et leve,
e 'l mio di lui sperar fallace et scemo.
I' dico a' miei pensier': Non molto andremo
d'amor parlando omai, che 'l duro et greve
terreno incarco come frescha neve
si va struggendo; onde noi pace avremo:
perche co llui cadra quella speranza
che ne fe' vaneggiar si lungamente,
e 'l riso e 'l pianto, et la paura et l'ira;
si vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s'avanza,
et come spesso indarno si sospira.
Gia fiammeggiava l'amorosa stella
per l'oriente, et l'altra che Giunone
suol far gelosa nel septentrione,
rotava i raggi suoi lucente et bella;
levata era a filar la vecchiarella,
discinta et scalza, et desto avea 'l carbone,
et gli amanti pungea quella stagione
che per usanza a lagrimar gli appella:
quando mia speme gia condutta al verde
giunse nel cor, non per l'usata via,
che 'l sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle;
quanto cangiata, oime, da quel di pria!
Et parea dir: Perche tuo valor perde?
Veder quest'occhi anchor non ti si tolle.
Apollo, s'anchor vive il bel desio
che t'infiammava a le thesaliche onde,
et se non ai l'amate chiome bionde,
volgendo gli anni, gia poste in oblio:
dal pigro gielo et dal tempo aspro et rio,
che dura quanto 'l tuo viso s'asconde,
difendi or l'onorata et sacra fronde,
ove tu prima, et poi fu' invescato io;
et per vertu de l'amorosa speme,
che ti sostenne ne la vita acerba,
di queste impression l'aere disgombra;
si vedrem poi per meraviglia inseme
seder la donna nostra sopra l'erba,
et far de le sue braccia a se stessa ombra.
Solo et pensoso i piu d eserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perche negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:
si ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'e celata altrui.
Ma pur si aspre vie ne si selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.
S'io credesse per morte essere scarco
del pensiero amoroso che m'atterra,
colle mie mani avrei gia posto in terra
queste mie membra noiose, et quello incarco;
ma perch'io temo che sarrebbe un varco
di pianto in pianto, et d'una in altra guerra,
di qua dal passo anchor che mi si serra
mezzo rimango, lasso, et mezzo il varco.
Tempo ben fora omai d'avere spinto
l'ultimo stral la dispietata corda
ne l'altrui sangue gia bagnato et tinto;
et io ne prego Amore, et quella sorda
che mi lasso de' suoi color' depinto,
et di chiamarmi a se non le ricorda.
Si e debile il filo a cui s'attene
la gravosa mia vita
che, s'altri non l'aita,
ella fia tosto di suo corso a riva;
pero che dopo l'empia dipartita
che dal dolce mio bene
feci, sol una spene
e stato infin a qui cagion ch'io viva,
dicendo: Perche priva
sia de l'amata vista,
mantienti, anima trista;
che sai s'a miglior tempo ancho ritorni
et a piu lieti giorni,
o se 'l perduto ben mai si racquista?
Questa speranza mi sostenne un tempo:
or vien mancando, et troppo in lei m'attempo.
Il tempo passa, et l'ore son si pronte
a fornire il viaggio,
ch'assai spacio non aggio
pur a pensar com'io corro a la morte:
a pena spunta in oriente un raggio
di sol, ch'a l'altro monte
de l'adverso orizonte
giunto il vedrai per vie lunghe et distorte.
Le vite son si corte,
si gravi i corpi et frali
degli uomini mortali,
che quando io mi ritrovo dal bel viso
cotanto esser diviso,
col desio non possendo mover l'ali,
poco m'avanza del conforto usato,
ne so quant'io mi viva in questo stato.
Ogni loco m'atrista ov'io non veggio
quei begli occhi soavi
che portaron le chiavi
de' miei dolci pensier', mentre a Dio piacque;
et perche 'l duro exilio piu m'aggravi,
s'io dormo o vado o seggio,
altro gia mai non cheggio,
et cio ch'i' vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne et acque,
quanto mar, quanti fiumi
m'ascondon que' duo lumi,
che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
fer le tenebre mie,
a cio che 'l rimembrar piu mi consumi,
et quanto era mia vita allor gioiosa
m'insegni la presente aspra et noiosa!
Lasso, se ragionando si rinfresca
quel' ardente desio
che nacque il giorno ch'io
lassai di me la miglior parte a dietro,
et s'Amor se ne va per lungo oblio,
chi mi conduce a l'esca,
onde 'l mio dolor cresca?
Et perche pria tacendo non m'impetro?
Certo cristallo o vetro
non mostro mai di fore
nascosto altro colore,
che l'alma sconsolata assai non mostri
piu chiari i pensier' nostri,
et la fera dolcezza ch'e nel core,
per gli occhi che di sempre pianger vaghi
cercan di et nocte pur chi glien'appaghi.
Novo piacer che ne gli umani ingegni
spesse volte si trova,
d'amar qual cosa nova
piu folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son un di quei che 'l pianger giova;
et par ben ch'io m'ingegni
che di lagrime pregni
sien gli occhi miei si come 'l cor di doglia;
et perche a ccio m'invoglia
ragionar de' begli occhi,
ne cosa e che mi tocchi
o sentir mi si faccia cosi a dentro,
corro spesso, et rientro,
cola donde piu largo il duol trabocchi,
et sien col cor punite ambe le luci,
ch'a la strada d'Amor mi furon duci.
Le treccie d'or che devrien fare il sole
d'invidia molta ir pieno,
e 'l bel guardo sereno,
ove i raggi d'Amor si caldi sono
che mi fanno anzi tempo venir meno,
et l'accorte parole,
rade nel mondo o sole,
che mi fer gia di se cortese dono,
mi son tolte; et perdono
piu lieve ogni altra offesa,
che l'essermi contesa
quella benigna angelica salute
che 'l mio cor a vertute
destar solea con una voglia accesa:
tal ch'io non penso udir cosa gia mai
che mi conforte ad altro ch'a trar guai.
Et per pianger anchor con piu diletto,
le man' bianche sottili
et le braccia gentili,
et gli atti suoi soavemente alteri,
e i dolci sdegni alteramente humili,
e 'l bel giovenil petto,
torre d'alto intellecto,
mi celan questi luoghi alpestri et feri;
et non so s'io mi speri
vederla anzi ch'io mora:
pero ch'ad ora ad ora
s'erge la speme, et poi non sa star ferma,
ma ricadendo afferma
di mai non veder lei che 'l ciel honora,
ov'alberga Honestade et Cortesia,
et dov'io prego che 'l mio albergo sia.
Canzon, s'al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch'ella ti porgera la bella mano,
ond'io son si lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di' ch'io saro la tosto ch'io possa,
o spirto ignudo od uom di carne et d'ossa.
Orso, e' non furon mai fiumi ne stagni,
ne mare, ov'ogni rivo si disgombra,
ne di muro o di poggio o di ramo ombra,
ne nebbia che 'l ciel copra e 'l mondo bagni,
ne altro impedimento, ond'io mi lagni,
qualunque piu l'umana vista ingombra,
quanto d'un vel che due begli occhi adombra,
et par che dica: Or ti consuma et piagni.
Et quel lor inchinar ch'ogni mia gioia
spegne o per humiltate o per argoglio,
cagion sara che 'nanzi tempo i' moia.
Et d'una bianca mano ancho mi doglio,
ch'e stata sempre accorta a farmi noia,
et contra gli occhi miei s'e fatta scoglio.
Io temo si de' begli occhi l'assalto
ne' quali Amore et la mia morte alberga,
ch'i' fuggo lor come fanciul la verga,
et gran tempo e ch'i' presi il primier salto.
Da ora inanzi faticoso od alto
loco non fia, dove 'l voler non s'erga
per no scontrar chi miei sensi disperga
lassando come suol me freddo smalto.
Dunque s'a veder voi tardo mi volsi
per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
fallir forse non fu di scusa indegno.
Piu dico, che 'l tornare a quel ch'uom fugge,
e 'l cor che di paura tanta sciolsi,
fur de la mia fede non leggier pegno.
S'Amore o Morte non da qualche stroppio
a la tela novella ch'ora ordisco,
et s'io mi svolvo dal tenace visco,
mentre che l'un coll'altro vero accoppio,
i' faro forse un mio lavor si doppio
tra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco,
che, paventosamente a dirlo ardisco,
infin a Roma n'udirai lo scoppio.
Ma pero che mi mancha a fornir l'opra
alquanto de le fila benedette
ch'avanzaro a quel mio dilecto padre,
perche tien' verso me le man' si strette,
contra tua usanza? I' prego che tu l'opra,
e vedrai riuscir cose leggiadre.
Quando dal proprio sito si rimove
l'arbor ch'amo gia Phebo in corpo humano,
sospira et suda a l'opera Vulcano,
per rinfrescar l'aspre saette a Giove:
il qual or tona, or nevicha et or piove,
senza honorar piu Cesare che Giano;
la terra piange, e 'l sol ci sta lontano,
che la sua cara amica ved'altrove.
Allor riprende ardir Saturno et Marte,
crudeli stelle, et Orione armato
spezza a' tristi nocchier' governi et sarte;
Eolo a Neptuno et a Giunon turbato
fa sentire, et a noi, come si parte
il bel viso dagli angeli aspectato.
Ma poi che 'l dolce riso humile et piano
piu non asconde sue bellezze nove,
le braccia a la fucina indarno move
l'antiquissimo fabbro ciciliano,
ch'a Giove tolte son l'arme di mano
temprate in Mongibello a tutte prove,
et sua sorella par che si rinove
nel bel guardo d'Apollo a mano a mano.
Del lito occidental si move un fiato,
che fa securo il navigar senza arte,
et desta i fior' tra l'erba in ciascun prato.
Stelle noiose fuggon d'ogni parte,
disperse dal bel viso inamorato,
per cui lagrime molte son gia sparte.
Il figliuol di Latona avea gia nove
volte guardato dal balcon sovrano,
per quella ch'alcun tempo mosse invano
i suoi sospiri, et or gli altrui commove.
Poi che cercando stanco non seppe ove
s'albergasse, da presso o di lontano,
mostrossi a noi qual huom per doglia insano,
che molto amata cosa non ritrove.
Et cosi tristo standosi in disparte,
tornar non vide il viso, che laudato
sara s'io vivo in piu di mille carte;
et pieta lui medesmo avea cangiato,
si che' begli occhi lagrimavan parte:
pero l'aere ritenne il primo stato.
Que'che 'n Tesaglia ebbe le man' si pronte
a farla del civil sangue vermiglia,
pianse morto il marito di sua figlia,
raffigurato a le fatezze conte;